Origine della siringa

POEMETTO

STANZA PRIMA

1
Dopo sentite aver tante novelle, Sulla condotta di persone mille, Che di Leonessa in queste parti e quelle, Faceano scorno alle propinque ville, Dissi che queste genti, inique e felle, Non doveano passar l'ore tranquille, E con semplice stil, da me si volle Sferzare i vizi lor, ma col bemolle.
2
Come avesse versato olio che bolle, Ora a questo ora a quel, sopra le spalle, Ciascun contro di me, la voce estolle, Per potermi ridurre a Maravalle, Van dicendo ch'io son, pur troppo folle, Che sorto in verseggiar, dal retto calle, E pure, a dire il ver, la terza parte Di quel che intesi, ho scritto in quelle carte.
3
Viene talor nella città di Marte, Or questo, or quello, e mi ragiona forte: Sai che la moglie di quel Brandimarte, Quando lascia la casa il suo consorte, Adopra scaltra, ogni maniera ed ai?te, Finchè al tale di tale apre le porte, E dice anch'altre cose apertamente, Ed io son preso poi, per maldicente.

4
Un giovine, parlar da me si sente, Con dir che un giorno, alla sua bella amante Le toccò il petto, e leì non disse niente, Baciò due volte il vago suo sembiante; Non riflette al suo dir, se sia innocente, Dice altre cose ancor, come ignorante, Ed io son quello poi, che l'onor toglie Alla mia patria, se la lingua scioglie.
5
Mi dice in chiare note, un'altro scoglio Nato: le donne son tutte di un taglio, Son capaci di far, qualunque imbroglio, Quando è lungi il marito, e quì non sbaglio, Quel ch'ho visto con gli occhi, dir non voglio, Che sarà troppo lungo, il mio dettaglio, E si ha da sentir poi, per ogni lato, Ch'io di tutte le donne, ho mormorato.
6
Tizio spiffera quì contro il curato, Con dir: talor da secolar vestito, Và dalla tale ove non è chiamato, Forse per far le veci dei marito, Oltre che della serva è innamorato, Diva di volto affabile e pulito, Così dice peccato e peccatore; E dicono ch'io sono il malfattore
7
Mi viene innanzi or questo, or quel pastore Il buttero ove io stò, comincia a d'ire:
Ci oltraggia, e ci maltratta a tutte l'ore
Com'è insolente, non si può soffrire
Non ti farebbe un piccolo favore, Neppur se ti vedesse di morire; E dicono di poi che parla male, L'autor della Siringa Pastorale.

8
Mi parla di un vergaro, un certo tale, Che giura non mentir colle parole, Abbiamo un capo, ad un Nerone eguale, Superbo sì che tal, non vide il sole, Talor ci fa mancar, pane, olio e sale, Onde ciascun di lui, si lagna e duole; Ed io son quello poi, che a più non posso, Scrivendo taglio a voi, li panni addosso.
9
li vergaro del tal, ch'è un pezzo grosso,
Mi dice un'altro che si trova a spasso,
2 duro agli altri priechi, al par di un osso,
In favor dei pastor, non move un passo,
Sembra nei tratti, l'infernal Minosso,
E mangia e beve, come un porco grasso,
Poco pensa al dover, al ministero;
E son'io forse il critico severo?
10
Non per dir la bugia, per dire il vero Mi parla in questi termini, il vergaro, Qualcun dei miei pastori, non vale. un zero, Sembra un morto di sonno, il cavallaro; Per gli armenti noti hanno alcun pensiero, Neppur quel mezzo matto del capraro, Sol dei proprio interesse hanno premura; Ed io sono l'autor della censura.
il
Talvolta un proprietario mi assicura, Che li pastori suoi, con brusca cera, Si lagnano di lui, che poco dura Sia la ricotta, e la pagnota nera, Pigri, scansa fatica, alla frescura Stariano dal mattin fino alla sera; E dite poi che un'Aristarco io sono, Che li pastori, a criticar mi sprono.

12
Tutti questi, di cui parlo e ragiono,
Che a me fan tai rapporti, a mano a mano, Fanno sentir della lor voce il tuono Ad altra gente, ancor pel monte e piano; Lasciano la prudenza in abbandono, Con idea trista, e con cervello insano, Di ciaschedun colpevole, palese Fanno il nome, il casato ed il paese.
13
La mia musa, che il tutto ben comprese, Coi canto il tutto a celebrar si mise, Ma solo il fatto manifesto rese, E non mica l'autor che lo commise, Parlai coperto, per non fare offese, A chi agiva a traverso in mille guise, Ma chi intendere omai da me volesse, Qual corregger mai, sbaglio dovesse?
14
Or vorrei che qualcuno a me dicesse, Chi più di biasmo meritevol fosse: Chi fà d'ogni erba fascio, o chi fè' espresse Le colpe altrui, mentre la penna mosse; Chi più alla patria, disonor facesse: Chi dal suo male oprar mai si mosse, Oppur colui che a suon di rozza canna Scopra le altrui magagne, e le condanna.
15
Se l'ali per seguir Bacco e Arianna, Un folle desio, al giovinetto impenna, Lo sgrida il genitor; lo disinganna E la via retta a ricalcar gli accenna; Se per un figlio, il genitor si affanna, Che a nuoto passerìa, Danubio e Senna, Se lo riprende, per tenerlo a freno, E' l'amor, che per lui nutrisce in seno.

16
Patriotti, se per voi non fossi pieno D'amor, qual per Zerbino un Solimano, Non parlerei con voi, del più e del meno, Nè prenderei per voi, la penna in mano, Nè libero sarei qual Filosseno, Nè vi riprenderei con volto umano, Nè pur di rivedervi, avrei desìo, Ma bensì lascerei, tutti in oblìo.


17
Come avverso alla patria, esser poss'io, Se ella è dolce per me, qual lavo Ibleo, Solo mi dispiacea ch'il suol natìo, Desse ricetto a chi di colpe è reo; Per parlar contro questi, Euterpe e Clio, Dianzi volli invocar dal colle Ascreo,
? Avran torto li baffi, avranno detto Ch'io parlai, troppo liberale e schietto.
18
Voglio dirvi però, per quale effetto Cosi chiaro parlai di tratto in tratto, Lettor, chi parla avanti al tuo cospetto, A volerti tradir non pensa affatto, Per un ch'è vergognoso e timidetto, Per un che a ragionar non è ben atto; Di questo invece io parlo, a tai persone, Che pretendono aver sempre ragione.
19
Se per un lieve fallo, il suo gai?zone, Rimprovera il vergar, con voglie insane, Quegli non si difende e non si oppone, Coi cor di ghiaccio e tacito rimane, Che paventa non solo il suo bastone, Ma di perder per sempre, ancora il pane, Per questo soffre, ed io li quarti suoi Riprendo, come suoi dirsi fra di noi.

20
Oltre che il nome, ed il casato a voi, Manifesto non feci amici miei, Dì quel vergar sofistico, nè poi Che di quel taglio fosser cinque o sei, Dissi che molti, a par di sommi eroi, Degni erano, di star fra Semidei, Per il buon cuore e per maniere belle, Ma vi è la fiancareccia in ogni pelle.
21
Quelli di voglie scellerate e felle,
Soverchiatori delle nostre ville,
Sferzai talor, ch'in quelle parti e quelle,
Facevano sentir lagnanze mille;
Forse dovea portare oltre le stelle
Quel sacerdote, che per una Fille,
Solea talvolta abbandonar l'offizio,
lo chiuder gli occhi, non sferzare il vizio.
22
Se dovevo parlar, per Cajo e Tizio,
Che non avendo i termini di Grozio,
Risponder non sapeano a Don Fabrizio, Che pensasse alla messa, e al sacerdozio;
Che lo teneano tutti in quel servizio, Che addrizzi in altra parte il suo negozio, Nè si facci guidar dal suo criterio, D'aver dell'altrui donna il desiderio.


23
Non sapendo suonar bene il salterio, L'uno non parla quando è necessario, L'altro che forse parlerìa sul serio, Al curato non vuole essere contrai?io; Per dare a questi, un qualche refrigerio, A risponder per lor, mi presi svario, Pei, cui lì corvi, io mi son bene accorto, Mi hanno fatto e mi fanno, il muso torto.

24
Di questo mi consolo e mi conforto, Perchè se tutto quel che feci aperto Coi versi miei, benchè mi tenni a corto, Preso dal ver non fosse, anzi dal certo Non avriano provato un disconforto, In udir l'armonia del mio concerto, Preso in ischerzo avriano il mio discorso, Nè si arrabbiava alcuno al par di un'orso,
25
Quelli che contro me fanno ricorso, Con dir che sono stato un'uom perverso, Danno segno tutt'or, d'aver trascorso Il sentiero del fallir, per ogni verso lo metterò come a destriero il morso, A chi volesse comparir diverso, Che mostra per la patria un finto zelo, Saprò nell'uovo ritrovargli il pelo.
26
Se alle magagne di qualcuno, il velo Toglier volessi affatto, io non vi adulo, Gli farei diventar il cor di gelo; Retringer gli farei perfino il culo, Fosse arrogante, che lo scampi il Cielo, Con la penna gli dò calci da mulo, E gli farei conoscer, che di stoppa Non ho le mani e che non porto in groppa.
27
Ho inteso, e non lo credo una falloppa, Che qualcheduno la siringa strappa, E sebben contro me, mostr'aver troppa Contrarietà quando mi vede scappa, La lingua avanti a me, forse gi'intoppa, E si vergogna qual fanciullin da pappa; Quei che fuggono i sbirri, non si sbaglia. E segno che la coda, hanno di paglia.

28
Colui che írato contro me si scaglia, Che qual cane sbranar par che mi voglia, Che al mio libretto qualche foglio taglia, 0 con atto collerico lo sfoglia, La cagion di quest'asino che raglia, Intendo dir, perchè la lingua scioglia, Amor patrio non è, solo barbotta, Perchè quanto scriss'io, tutto gli scotta.
29
Non v'è persona, più prudente e dotta,
Di quella, che scii và per la via retta,
Ch'ascolta tutto e tace, a dar la botta
L'ora opportuna, ed il momento aspetta,
Lascia parlar chi vuole, e non ciangotta,
Parlino bene o mai, tutti rispetta,
Lungi tutt'or da qualsivoglia intrico,
Incapace far male ad un'amico,
30
Colui che approvar suol quant'io ridico,
Della mia Pastorale in ogni loco,
Conoscitor lo credo, a par di Pico,
0 pur se tal non è, vi manca poco,
Il merito di cui sol mi affatico,
Sovra gli astri portar, le muse invoco
Che diano le rime, un'altro giorno,
Quando la penna a ritemprar ritorno.