CANTO SESTO

ARGOMENTO

Dopo di aver molti denari spesi In Roma, i miei pastor come son'usi, Drizzano i passi verso i lor paesi, Che Rieti in passar restan delusi: Van per sentieri inospiti, e scoscesi Da montagna in montagna in lochi astrusi: Quindi alla patria, di letizia invasi, Le lor mogli in veder, sono rimasi.

STANZA PRIMA


Breve divenne già la notte oscura, Il sole fa su noi lunga dimora. Del sirio cane omai cresce l'arsura, Che siamo al fin della stagion di Flora; Tutti gli armenti di cambiar pastura Sono costretti essendo giunta l'ora, Che la campagna non è più qual'era, Ma bensì divenuta arida e nera.
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Trascorso appena la metà del mese Di giugno, i miei pastor fra l'altre cose Tornar dovendo al lor natìo paese A riabbracciar le lor dilette spose; Mandano, o vanno in Roma a far le spese, Non dico già galanterie costose, Ma l'occorrente sol per le lor case Ch'io ve le spiegherò con chiara fras

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Se la mia musa nel suo dir non sbaglia Saprai, lettore, il tutto a meraviglia; Chi per la sposa che non molto vaglia Per una veste far, la robba piglia, Chi un fazzoletto di color di paglia, 0 pur prende un zinale per la figlia Che nel partire dalla patria soglia Promise di appagar l'avida voglia.
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Matteo dalle vicine sue capanne Spesso nella città rapido venne, E preso in Ghetto quattro o cinque canne Di borgonzon, di musolo, o di anchenne; In via del Pellegrin Filippo vanne, Che fido amante un anno fa divenne, E prende invece di zinali e gonne Qnalche anelletto, onde appagar le donne,
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Felice ch'è deciso a prender moglie, Per.porre in opra il suo mestica e daglie, Tutti viene a lasciare in queste soglie, Li denari ch'ha fatti con le quaglie; Fà di una fede acquisto o di altre spoglie, Per chi gli mise il cor fra due tenaglie; Valente ancora vari oggetti sceglie, Per chi gli ha fatte far non poche veglie.
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A spender per diverse bagattelle Vengono giovinetti a mille a mille, Chi per le madri e chi per le sorelle Prende una quantità di aghi e di spille, Chi lacci e strenghe ed altre cose belle, Provvede per l'amabile sua Fille; Altri portano via sopra le spalle, Robba da farne poi diverse balle.

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In queste del partir giornate estreme,
Di provveder la casa hanno costume,
Di alici e sarde e tarantello insieme,
Merluzzo, o pure altro miglior salume;
Che per l'estate, all'uno e all'altro preme,
Tanto più se non ha molto legume,
Il compane di aver per quando ha fame,
Onde poter saziar l'ingorde brame.
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Li capi di famiglia oltre di questo, Prendono per grattar, formaggio tosto, Per condir maccaroni ed anche il resto, Tutto il mese di luglio e quel di agosto, Che per settembre è già lutto in disesto, Da frigger più non v'è, nè fare arrosto, Rimasto questo e quel quasi sprovvisto Di quanto in Roma or và facendo acquisto.

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Sembra che l'un con l'altro si consigli, Onde meglio appagar, le proprie mogli, Scarpe prender per esse e per li figli, Ch'hanno da camminar fra tronchi e scogli., E l'uno e l'altro, è d'uopo ancor che pigli La suola pei rappezzi ed altri imbrogli, Con tante spese, non creder ch'io sbagli, Il guadagno sen và dei lor travagli.
l0
Fatte cotante spese, io non vi adulo Resta qualcuno con un paolo solo; Senz'aspettar che canti il cuculo, Risolvono partir da questo suolo: Mettono il basto all'asino, od al mulo Dalla capanna poi staccano il volo, E pregan tutti con ardente zelo Che in tai viaggio gli sia scorta il Cielo
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Alla campagna, o sia Romulea Valle, Alla tenuta, ed alle aduste zolle, Di già voltate ogni pastor le spalle Alla volta sen va, dal patrio colle; L'uno per caricar pesanti balle, Si vede dal sudor bagnato e molle, L'altro si affanna in queste parti e quelle, Guidando capre, pecore ed agnelle.
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Per ritornar da questa parte bassa, Là su nelle montagne di Leonessa, Più di una masserìa per Terni passa, 0 per altro sentier che più interessa, La maggior parte de' pastor, non lassa La nuova per la vecchia, e sia la stessa Via, che fè nel venir, che par non possa Per altro calle far veruna mossa.
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Sia pur qualunque sia, la strada retta, Và tutta allegra de' pastor la flotta, Verso la patria in guisa tal si affretta, Che sì veloce un corridor non trotta; E dovunque la sera sia diretta, Che vi forma lo stazzo e vi pernotta, Son circondati a mano manca e a dritta. Da gente bisognosa e derelitta.
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Per la ricotta aver, forcina e paia Lasciano alcuni, e prendono la pila, Chi vien dal piano, o chi dal monte cala Si appressano allo stazzo in dieci mila Tanta gente in veder, quasi si ammala li vergaro, ma poi li inette a fila, E di ricotta una cucchiara sola, Fa dare a tutti senza far parola.

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Cotesta gente poi di mano in mano, Lieta ritorna al suo primier destino, Resta di contentar Più di un guardiano, Ch'hanno la faccia e il cor di Spadolino; Onde astretto è il vergar, metter la mano Cinque o sei volte al dì nel borsellino, Per dare a questi un mezzo scudo almeno Acciò lascino libero il terreno.
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Benchè non siano rigorosi tanto Li guardiani campestri in tal momento Ch'ha per tutto, la terra arido il manto, Chè può ben poco pascolar l'armento; E pur con tutto ciò, vonno aver quanto Suggerito lor vien dal mal talento; Se non fosse il vergaro accorto e pronto. Avrìa ben da temer più di un'affronto.
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Dalle vampe del sol quasi arrostiti, Percorrendo colline, boschi e prati, Da sì lungo tragitto infievoliti Nel viaggio i pastor veggo inoltrati, Presso l'Ornaro ormai sono riuniti Molti coi lor bagagli, altri arrivati Sono stanchi ben sì, ma in volto lieti Dentro la ricca alma città di Rieti.


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Quì dalla polizia mentre si attende L'ordine di partir per gire altronde
Fermi stanno i pastor senza faccende,
Del fiume Nera sull'amene sponde;
Ecco, che viene un mascalzon che vende
Bollette per le scarpe, e si confonde,
Fra mezzo ad essi, ed un'astuzia grande
mostrano, ch'io non vidi in altre bande,

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Dieci bollette dar per un baiocco Patteggia coi pastor questo macaccO, Le prende, glie le conta, e lui ch'è sciocco Non si accorge che vien messo nel sacco; Prende il denaro il tristo, e locco locco Volge per altra via veloce il tacco, L'altro riconta le bollette, ed ecco Che l'inganno si scopre di quel becco.
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Cinque via dieci fa cinquanta, e invece Trenta ne trova, e non si può dar pace, Crede di averne ogni baiocco dieci E ne ebbe appena sei, questo gli spiace Che nel contarle rimaner le fece Fra le sue dita il venditor fallace; Ed ora indarno il povero Felice, Parla contro di lui con lingua ultrice.
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Da un'altra parte un cappellaro è giunto, Con cui contratta il pastorel Giacinto, Che il cappello che tien tutto bisunto, Per un grossetto vuoi che sia ritinto, E Giambattista nell'istesso punto, Da un'altro cappellar di già convinto, Cambia il cappello suo ch'è vecchio alquanto Con altro nuovo, che non costa tanto.
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Questo dice portar solo la festa, Quando torna al paese Giambattista, Ma cosa accade? una feral tempesta Piomba sopra di lor grandine rnista; Dall'esercizio ogni pastor si arresta, Ad esso pria di ogni altro il cor si attrista i. Che il suo cappello di cattiva pasta, Alla prim'acqua gli si sfonda e guasta.


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Tal caso accade allor quando i vergari Han dalla polizia presso i maggiori Portati alfine l'intrigati affari, Che non vedono l'ora esserne fuori, E fuor della città, muli e somari, Cavalli, capre, pecore e pastori, Scorti avendo di già per quei sentieri, Di cui darvene un cenno è pur mestieri
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Alcuni traversando il vasto piano
Detto da noi l'Italico giardino,
Và per Fuscello alla sinistra mano,
Ed ecco il suol natìo farsi vicino;
Altri per Cantalíce, e per Lisciano,
Per Cimamonte, e giungono al Tascino,
E posto il piè nel patrio suo terreno
S'empie a ciascun, di nuova gi : oja il seno.
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Or che la dolce aria natìa respira L'uno e l'altro pastore, ad ora ad ora, Di quà e di là cupido il guardo gira, Scorge la neve in qualche parte ancora E sul pendìo del monte, osserva e mira La nebbia che vi fa lunga dimora, Tra i sassi il mormorio dell'acqua chiara. Ode gli augei cantar, tra i rami a gara.


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Si affligge che non può direttamente Al paese, tornar, che tra le piante, Deve il gregge guidar continuamente
Dove pur di morò l'estate innante;
Ma dopo un giorno o due, che ciò con?,
Il benigno vergaro, egli anelante
Con altri in sierne, e con allegra fronte,
Lascia la mandra, la pendice e il monte

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Vedendo partir questi, Benedetto Risoluto anche lui parte di botto, Raggiunge i suoi compagni nel boschetto Avendo più di lor veloce il trotto, Dalia ripida costa dirimpetto Viene un'altro pastor con un fagotto, Questo è Pasqual, che poi di tratto in tratto Và con essi per via facendo il matto.
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Questa sera compagni, benchè stracco, Vò rimetter nel fodero lo stocco. L'altro ridendo risponde: per bacco Di far lo stesso anch'io non sarò sciocco; Un altro: dalla sposa io non mi stacco Se pria non suona all'alba il primo tocco, Andrea ripiglia: che non è di stucco Con dir: faccio la prima, e poi rincucco.
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Discorrendo così da un'alto poggio Cominciano a veder più di un villagio, Osservano pel primo Piedelpoggio A piedi un'alto monte eri?no e selvaggio, Dove hanno molti fiscellari alloggio, Dove anco nacque, un letterato e saggio, Dove parecchie giovinette veggio, Della bellezza sull'aurato seggio
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Ecco apparir Leonessa, e non lontano
Casa Bigione e il Carmine vicino,
Vien casa Zunna nel medesimo piano
Non molto lungi da casa Pulcino,
Casa Nova, Vallonga, e poi Volciano,
Viesci piantato in loco assai pacino
Dove i poeti in quantità vi sono,
Che qua] Marsia in cantar, si danno i
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Quìndi osservando l'uno e l'altro lato, Vindoli ìn alto vien da lor veduto, Pianezza in cima al monte, e in mezzo un prato Terzone, dove stà più di un saputo, Ma nel villaggio ove ciascuno è nato Rivolve pria che a gli altri, il guardo acuto, E fassi ad essi il cor più che mai lieto, In veder San Clemente, e l'Albaneto.
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1 letterati quì son di gran possa,
Che nel far versi non v'è chi li passa,
Quì sanno risanar per sino l'ossa
S'un cade da cavallo e si fracassa;
.San Clemente non teme alcuna scossa, Di fio malor poichè più di un si spassa Dioscoride leggendo, onde repressa Viene ogni malattia qualor si appressa.
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Vanno osservando queste parti e quelle, Finchè son nel pian lasciando il colle, E le più corte e solite stradelle, Ricercano benchè fra sassi e zolle, Che per l'amante lor femmine belle Ad essi il sangue entro le vene bolle, E par che in volto, ognun'arda e sfaville Per riabbracciarle, mille volte e mille.
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,Mogli, figli, sorelle, s'io non fallo,
Sapendo che ritorna questo e quello,
Corrono ad incontrar, senz'intervallo
Chi il padre, chi il marito e chi il fratello
Ma pria però, che ognun di voi ben sallo.
Quelle che hanno, due dita di cervello,
Per potersi pulir, mettono a mollo
La fronte, il viso e la metà collo.

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Ciò che presso costor, di buono esiste, Sia zinale, sia busto o pur sia veste, In tai caso conforme, io pur l'ho viste Ricercano all'istante, quelle e queste, E per più belle comparir le triste, L'una e l'altra si adorna e si riveste, Insomma, tutte così ben disposte Buttano via le caccole e le croste.
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Rita ch'ama all'eccesso la pigrizia, Che di lasciarmi star, par sempre sazia In vece di mostrar somma letizia, Or che il marito, fuor di ogni disgrazia, Vagli incontro, che par zingara Egizia, Sciattata, e senza un fil di buona grazia; E' dì quel taglio ancor Marta e Lucrezia, Ciò prendete per ver, non "per facezia.
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Lucia di casa sua, neppur le scale Si degna di calare, allor che suole Il suo marito ritornar, Pasquale, In qualche parte, il piè forse le duole Lo sposo ad incontrar, com'avesse ale Orsola, con la sua piccola prole Và con maniera affabile gentile, Che a Penelope, sembra esser simile.
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Apollonìa la nova appena intesa, Che fa ritorno il suo marito a casa, Và con Giovanna e con Maria Teresa, Ad incontrarlo di letizia invasa, Verso Leonessa per salita e scesa, Paola di tal notizia persuasa, Và con Menica insieme ed Annarosa, C'ie l'anno scorso fu chiamata sposa

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Non rimane Vincenza e Clementina Nettampoco Cecilia e Potenziana, Và con queste, Innocenza, Serafina, Fortunata, Costanza e Bibiana, Virginia, con Nunziata e Caterina Affumicate al par della befana, E corre, benchè zoppa Maddalena, Con Francesca, Leonora e Polìssena.
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Veloce ogni altra, ancor move le piante, L'arrivo del consorte, allor che sente, Crede ciascuna, il suo fedele amante Lo sposo, il padre, il prossimo parente; Fuor dei paese o pur poco distante L'incontro accade, di cotesta gente, E si vedono qui, con voglie pronte Darsi un con l'altro, mille baci in fronte.
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Maria lo sposo, sorridendo in atto
Saluta, e corre ad abbraccìar di botto,
Quegli la stringe, e nel medesimo tratto
Non può dal gran piacer, formare un motto, Stanco sarai, dal camminar ch'hai fatto? Ella gli dice, e gli toglie il fagotto. Egli grato sì mostra, e pìen di affetto Replica un bacio, e vi accompagna il detto.
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Come l'olmo la vite, il suo marito Paolina abbraccia, e dice, ben tornato, Un secolo mi par, che sei partito, Dimmi il ver come stai, come sei stato Quei con piacer soave, ed infinito Le imprime un bacio, pria nei volto amato, Poi le risponde: coi divino ajuto Ottimamente, son finor víssuto.

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Quì singhiozzar, per tenerezza io sento La madre nel veder, il figlio giunto, Come la sposa ancor, dal gran contento Or che lo sposo a lei, si è rìcongiunto, Versa stille dagli occhi, a cento a cento Lo sposo, il figlio nell'istesso punto, Ma fra di loro, senz'indugíar tanto Ritorna il riso, a dar l'esilío al pianto.
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Quelle donne però, che in mezzo a questi, 1 lor parenti ancor non hanno visti, Delusa avvien, che l'una e l'altra resti, Ma che dal dispiacer, non già si attrísti, Che ad essa è ben dover, che ognun si appres Dar le notizie di cui son provisti Di color che all'ovil son rimasti Dìcendo: stanno bene, e ciò vi basti.
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A tai notizia, ritornar serena
Senza molto indugiar, veggo ciascuna,
E quindi giunta al termine la scena
Tornano alle lor case, ad una ad una;
Corrono l'altre, a preparar la cena,
Che da per tutto ornai, l'aria s'imbruna
E nel toccare il sol l'onda marina
Marito e moglie, desinar destina.
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Se l'arrivo di lor, pria di quest'ora
Succede nella patria, amata e cara
La cena nò, ma la merenda allora
Ogni donna sollecita, prepara;
Prende il tegame, e quì senza dimora
L'onto soffrigger fà, poi rosso e chiara
Di quatt'uova vi mette, e con premura
Le offre allo sposo poi, gionte a cottur

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Marialucia non ha forse il costume
Cocer l'uova al marito nel tegame
Che faccia le lasagne, si presume
Per cena a Valentino, quando ha fame;
Quindi per soddisfar di Imene al Nume
E render sazie, l'avide sue brame Vassene a letto con la sposa insieme Con Il aratro apre il solco e spande il seme.
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Dicendole: ben mio dolce conforto
Lungi dagli occhì tuoì, quant'ho sofferto
Tu sola sei, del mio naviglio il porto
Mio tesoro , e contento, unico e certo;
Tu sei per me di ogni letizia l'orto
Di soave piacer, sentiero aperto,
Stringimi al sen, che più da te non parto, E l'ago spinge a paragon di un sarto.
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Un certo Annunzio, ancor dopo cenato Và in letto a far gli uffici del marito, Si stringe Annamaria da disperato, All'armi, grida, il cavaliero ardito; Pugna, e combatte coi nemico armato Senza timore di restar ferito, E pur malgrado il suo pugnale acuto, Gede l'arringo al fin, vinto e battuto.
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Evvi un'usanza, e non creder sia nuova, Giunto un pastore, nella patria riva, Da varìe donne in dono, tre o quattr'uova Portar si vede, con fronte giuliva, Questa per cosa buona, ognun l'approva, Certo dir non si può, che sia cattiva ; Che un tempo anch'io, quando la sù tornava Tuttor con l'uova in mano mi trovava.

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S'io stato fossi un di color, che mai Sono capaci far piaceri altrui, Senz'interesse; e tu lettor lo sai, Se a' giorni nostri, ve ne son fra nui, Nè ben tornato, e neppur come stai Detto mi avrian, parenti, amici a cui Son grato eternamente, anzi vorrei Poterli immortalar, coi versi miei.
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Fossi stato un superbo, un arrogante, Un che schiava tener, vorrìa la gente, Un perfido, un altero, un soverchiante, Un sordo ampolloso, un maldicente, Nessun delli due sessi, il suo sembiante Dimostrato mi avrìa, giammai ridente, Anzi volgendo a caso a me la fronte, Sarìa lor parso di veder Caronte.
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Ogni vergaro, allor che fà ritorno, La moglie andargli incontro io non discerno, Perchè con esso in placido soggiorno In campagna passò tutto l'inverno; Gli và però tutto il paese intorno Come se giunto fosse un Nume eterno; E il ben tornato, non vi parlo indarno, Fanno sentir fin dal Tamigì all'Arno;
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Chi prende per la briglìa la cavalla, Nel tempo che costui scende di sella; Chi conduce la bestia entro la stalla, E chi del suo venir con lui favella, Chi gli pone la man sopra la spalla Dicendo: ben tornato anima bella, E intanto la consorte Petronilla Scende le scale, e ben tornato strilla.
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Della cena per lui già preparata Dirò poche parole alla. sfuggita; Maccaroni, pollastri ed insalata,
Prosciutto, mortadella assai squisita,
Di uova fresche rognosa un frittata,
Che nel mangiarla fà leccar le dita,
Formaggi ed altra roba, che un poeta
Per dir tutto, in van cerca la meta.
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Lucullo, tale e qual facea le cene Eliogabolo, Crasso ed Epulone, Quì l'amico, il parente, e quì perviene Del paese il curato e altre persone; Del più, del men, parlando si trattiene L'uno ?1 l'altro, il vergar sempre ha ragione Che bene spesso in circostanze strane Dal torto la ragion vinta rimane
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Il vergaro?però che il dì seguente
Poca premura ha di tornare al monte
Dove il gregge lasciò, con questa gente
Trattiensi a ragionar con lieta fronte;
Và tardi a letto, onde cantar non sente
Il gallo, e quand'è il sol sull'orizzonte
Lascia le piume, e dove poi le piante
Rivolge, è scappellato ad ogni istante.
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I pastori però benchè sia dura
Questa partenza, allor ch'esce l'aurora
All'ovile tornare hanno premura
Che gli altri rimpatriar devono ancora
E chi alle mandre ritornar non cura,
Per non tanto straziar la vita ognora
Stassene a casa stia mattina e sera
Del caldo estate la stagione intera.

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Così di mano in mano ogni pastore, Si vede alla sua casa ritornare; Diversi ve ne son, s'io non fò errore, Che se ne stanno, il gregge a pascolare In parte erma e lontana a tutte l'ore, Cosa che in ver mi fà trasecolare, Che al paese tornar forse neppure Ponno, due volte o tre da quelle alture.
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Dimorando così per le foreste, Movono il piè per le scoscese coste, Non potendo sentir, neppur le feste La messa, che le chiese hanno discoste; Volgendo gli occhi alla magion celeste Mettonsi a recitar le cinque imposte Dei rosario, per vie scabrose e anguste, Come persone pie, devote e giuste.
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Sarà ciascun di quei povero in guisa, Che al paese non ha neppur la casa, Senz'orto, senza prato, e non ravvisa Terreno, onde abbia la sementa spasa; Privo dei genitor, l'alma conquisa, Dentro il petto non ha di amore invasa Per una vaga giovane vezzosa, Che al par degli altri ritornar non osa.
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Pasquale tutto il dì si prende spasso Col far lavori pel femmineo sesso, Pietro per loco, ora sublime or basso, L'erbe ch'hanno virtù raccoglie spesso; Andrea leggendo l'Ariosto o il Tasso Fuor del bosco sen và con l'agne appresso attende ad intagliare un osso. Luca far calze non si è mai rimosso
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Questi che stanno in loco ermo e lontano,
E tempo ornai Ch'io lasci in abbandono,
Torno ai villaggi, e qui rimetto mano Di nuovo a ragionar, ma in altro tono Non parlo già di qualche oscuro arcano, Ma dei pastor che ritornati sono, Palesando i lor casi ad uno ad uno: Voglio pria riposar, che l'aere è bruno.

Fine del Canto sesto.