CANTO QUINTO


ARGOMENTO

Preme il latte il pastor, devoto in atto Prega l'allo Signor, mangia il prodotto, Recidere alle pecore vien fatto Il vello poi, dal tosator patriotto; Nel divider le pelli, un mezzo matto Si lagna, perde il pan, và col Fagotto In Ronza un fiscellar gli dà ricetto; Citano in Piedelpoggio ogni moscetto.

STANZA PRIMA

Si odono già mille augelletti a gara
Con dolce canto salutar l'aurora, Già dall'indico mar l'ombra rischiara Il novo sol, che le colline indora; Il capo lattarol gia si prepara Tornare all'opre sue senza dimora; Già batte il secchio, e con ridente cera, Tutta si desta da' pastor la schiera.
2
Ecco menar le pecore nel Vao (1) Dal vigile Filippo e da Matteo, Già prende il secchio in mano Stanislao, Già stà dentro la nicchia Timotèo, Già veggo pieno il vaso a Vincislao, Che per munger non cede ad Aristèo; E chi più bravo sia, Nunzio e Amadio, Mostrano avere, un fervido desìo.
(1) Il recinto dove si munge.
3
Essendo primavera, ogni terreno Abbonda di erbe nuove, il monte e il piano, Onde premendo, a mille gregge almeno, Le turgide mammelle, ad ambe mano veder di latte, più di un secchio pieno Ad un istante, non vi sembri strano, E versar tanti vasi, ad uno ad tino Entro un solo, stupir non deve alcuno.
4
Da questo vaso, veggonsi prodotte Cose diverse, per virtù del latte; Pria la molle giuncata, e le caciotte Quindi, con atto pratico son tratte, Con la minor sostanza, le ricotte Formano in fine, nelle apposta fatte Fiscelle, ben da lor pulite e nette, Dove ricotta e siero, in pria si mette.
5
Ma pria, che posta sia nella fiscella, Fatta appena, che ancor pare che bolla, Conforme hanno per uso la scodella, Ogni pastor se ne empie e il pari vi ammolla; Con questa bianca, tenera e sì bella Pietanza, ognun si ciba e si satolla, Che non sanno invidiar, se il dir noti falla, Ottaviano, Tiberio e Caracalla.
6
In fine che restar si vede il siero,
Chi Turco appella, chi Giordano e Moro,
Danubio Teverin, che a dire il vero,
Questi li nomi son dei cani loro;
Affinchè questo e quel, sia forte e fiero,
Qual già si usò fin dall'età dell'oro,
Questa bevanda, compartire io miro
Ad essi, ora che son riuniti in giro.

7
La sera poi, pria che tramonti il sole, Che tornano gli armenti al chiuso ovile, Quell'istessa faccenda adempir suole Ben volentieri, ogni pastor gentile, E perchè volto sull'eterea mole, Tiene in guisa il pensier col core umile, Che senz'accender lampade o candele, Si sentono cantar le Kiriele . . . .
8
Febo, tuffato già dei mar nell'onde, Pria di cenar, nel fin delle faccende, Si ode intuonar, con voglie assai gioconde Deus in adiutorium meum intende, Domine adjuvandum, risponde, E senz'indugio, la corona prende Ogni pastor, con divozione grande, Orando con fervor, tai voci spande.
9
Padre, che sei nel Ciel, santificato Sìa sempre il nome tuo per ognì lito, Venga presto il tuo regno ognor desiato, E l'alto voler tuo resti adempito; E siccome là sù nel ciel beato, Così in terra sia pur tutto eseguito; Deh se vuoi render lieto ogni devoto, Fa che non vadí, un caldo prego a vuoto.

10
Dacci oggi il nostro quotidiano pane, E qual da noi rimetter si dispone, Ai nostri debitor con voglie umane, 1 debiti, le speme in te si pone, Che li rimetti a noi, che le vie piane Ne additi, onde fuggir la tentazione; Liberaci dal mai, dall'aspre pene, E sia sempre così per nostro bene.
11
Dio ti salvi Maria, di grazia piena Teco è l'alto Signor, bontà divina Che il tutto regge, il tutto move e frena, Tu benedetta sei, sera e mattina, Come Diva celeste e non terrena, Fra l'altre donne, o stella matutina, E benedetto il frutto che imprigiona li ventre tuo, Gesù che a noi si dona.
12
Vergine madre dell'eterno Nume, Maria celeste Dea, Donna sublime, Per noi che abbiamo di peccar costume, Prega di Olimpo, sull'eccelse cime, Adesso e quando dei nostri occhì il lume, Morte ne toglie, e il nostro frale opprime, Giunti dei viver nostro all'ore estreme, Sia così che da noì nulla sì teme.
13
Gloria al Padre, al Figliolo ed al Divino Spirito iterar sento, or forte or piano, Come in princìpio sei, così per fino Al terminar del secol più lontano, Sia pur così: risponde Valentino, Anastasio, Valerio e Damiano; Ed ogni sera replicate sono Queste preci, e mai poste in abbandono.
14
Terminato il di lor Santo Rosario, Cenano, e quindi vanno al dormitorio, Ma non essendo più sole in acquario, Tempo che sembra stare in Purgatorio, Alla scoperta, per diletto e svario, Spande il fardello suo, Giulio e Vittorio, Che gli invita a dormir fuor dei tugurio, Di un placido sereno, un buon'augurio.

15
Coi carro aurato, il sol posto in viaggio, Di Gemini nel segno arrivar veggio, Poichè maggior di pria dona il suo raggio, Ai germogli vigor, s'io non vaneggio; Termina aprìle, ed incomincia maggio, E di altre cose ancor, parlarvi deggio, Tutto dirò, se dal parnaseo poggio, Febo mi manderà, di rime un moggio.
16
per essi indicibile piacere, Sul mattino gli augei sentir garrire, Spiegar le piume poi, verso le sfere, Dove li spinge il natural desire; E tra le frasche, i nidi lor veder, Di un chiaro fonte, il mormorio sentire, Crescer le varie erbette, accanto al fiore, Spuntar la rosa di olezzante odore.
17
Godono ancor, vedere il monte e il piano, Di verdeggiar il bosco, il prato ameno, E bionde farsi ormai l'ariste al grano, Recider prima con la falce il fieno, E veder pascolar presso e lontano, Gli armenti in un vastissimo terreno, Sentir cantar l'amico in chiaro tuono, Qual nuovo Orfeo, della ribeca al suono.
18
Brillano di piacer sera e mattina, Ch'hanno gli armenti ornai, lunga la lana, Quale recider, già fassi vicina L'ora, ch'è forse entro la settimana Ecco formare all'uopo una piscina, Con l'acqua di una prossima marrana, E ie pecore in quest'ampia laguna Tuffansí, per lavarle ad una ad una.
19
Mostrano aver colmi di gioja i cori, Veder giunti fra loro i pecorari, Di forbici provvisti i tosatori, D'ordine de' padroni e dei vergari; Questi son circa trenta, e dei pastori Son patriotti, parenti o pur compari, Che mancano talvolta ai lor doveri, Volgendo a chiacchierar, tutti i pensieri.
20
Ve ne son molti del Poggio Bustone, Che meco poco assai fariano bene, Che parlando, cìascuno ha del buffone, Perdono tempo, in cìò che non conviene; Pria di tosare un'agna od un montone, L'ora della magnifica sen viene, E son del caporal parole vane, Dicendo: attento a ben cavar le lane.
21
Qualcun di allegro umor, cui l'estro brilla, Canta da scherzo, e dice in sua favella, Che per la sete, in vero, arde e sfavìlla, E non vede del vino la copella; L'altro risponde: corpo di un'anguilla, Mi sento di aver vuote le budella; E cosi l'uno e l'altro si trastulla, Ed al travaglio, poco pensa o nulla.
22
Vedendo quei flemmatici, il vergaro Passeggia intorno, e fà più di un sospiro, Ordina al fin per non mostrarsi avaro, Che sia portata la copella in giro; Benchè viti battezzato al fonte chiaro, Come fanciullo al caporello io miro, Così con ingordigia, ognun di loro, Tracanna quell'umor, per suo ristoro.

23
Poscia in sentir che tacito borbotta Ciascun degli operai, che il pranzo aspetta, Fà sì che il cucinìer cotta e non cotta, Porta la robba in tavola con fretta; Mangiano tutti più di una pagnotta, E bevono anche più di una foglietta, Ch'è più svelta a mangiar la gente tutta, Che a travagliar, inver la cosa è brutta.
24
Torna al lavoro il caporale, ed ogni Tosatore con lui move i calcagni, Ma poi chi và per fare i suoi bisogni Che per mezz'ora almen lascia i compagni; V'è chi arrota le forbici, e non sogni Son questi, onde il vergar par che si lagni; Chi un'altra cosa far par che disegni; Come di scusa mai ponn'esser degni.
25
Il vergaro perciò non vede l'ora
Che terminata sia la tosatura,
Per non soffrir di più di chi lavora
La flemma, e quell'agir senza premura;
Che inutilmente và da poppa a prora,
Per tutti sorvegliar, con somma cura;
Se il bue l'aratro, volentier non mira,
Hai tempo a stimolar, tanto non tira.
26
Se per volere del Cielo mai non piove, Questa faccenda in ver, termina in breve, Forse sarà, fra li otto giorni o nove, Che poi, pastori, il vin più non si beve; Partono i tosatori, e vanno dove L'attende altro vergaro, e li riceve Con volto alquanto sostenuto e grave, Come di grandi affari abbia la chiave.

27
Pria che veduto sia di maggio il fine, Esce ciascun vergar da tante pene, Da lontane capanne e da vicine, Questo lavoro ad ultimar si viene; E li pastori, fra le lor propine, Una di averne omai, pur gli conviene, Se mi ascolti, lettor, con rime piane, Ti prometto narrar quanto rimane.
28
Le pelli delle pecore già morte, Che sono dei pastor propine certe, Di dividere omai stanno alle corte, Che l'aspettano tutti, a braccia aperte; Siano pur poche, o assai per buona sorte, Di vera o bianca lana ricoperte, Fanno la conta, a regola dell'arte, Per chi sceglier dovrà la miglior parte.
29
Possibile non è, che qualche lagno Non si oda da qualcun, pieno di sdegno, Dicendo, che la parte del compagno E' miglior della sua, fuor di ogni segno, Perchè gli sembra misero il guadagno, Contro il vergaro mormora l'indegno, Come appunto quel tal, sia maggio e giugno Che va cercando chi gli rompe il grugno.
30
li vergaro pacifico e prudente,
In sentir taroccar questo birbante,
Serio lo guarda in viso, e poi repente
Gli dice: o tu che sei tanto arrogante,
S'è ver che non delira la tua mente,
Voglio che il tuo parlar freni all'istante,
0 l'ultim'ore al tuo servir son giunte,
Nè siano a queste, altre parole aggiunte,

31
Ma perchè audace egli risponde spesso, Come a Tancredi il Cavalier Circasso, Lo condanna il vergar senza processo, Fuor del servizio suo, restar a spasso, Onde col zaino e col fardello appresso, Verso Roma sen và, con lento passo, Conosce allor quanto l'error sia grosso, Per un'inezia aver lo sdegno mosso.
32
Giunto appena in città, tosto domanda, Qual sia la via che mena alla Rotonda, Ai fiscellari qui si raccomanda, Che di pecunia, molto poco abbonda, Che possi in casa vostra aver locanda Quando dei mare il sol, cade nell'onda, Per fin che il CieI vorrà ch'egli riprenda, La via che il meni a far qualche faccenda.
33
Li fiscellari per aver nel petto, Tenero e molle il cor, più dei pancotto, Benchè ciascun di casa sia ristretto, Che loco neppur v'è per un fagotto, Senza farsi pregar danno ricetto A qualunque individuo patriotto, Per non vederlo maggiormente afflitto, Or che non puote procacciarsi il vitto.
34
Per chi allogio non ha, quest'è un favore Certo, da registrarsi a note chiare, Per questo ai fiscellari: ogni pastore Riconoscente si dovrìa mostrare, Adoprarsi per quei, pien di fervore, L'obbligo solo appien per soddisfare Senza ritardo, in prò di loro agire, Che ben degni ne son, non v'è che dire.

35
Altro però non sanno far costoro, Per esser grati a ciascun fiscellaro, Con la lana o col fil, vario lavoro, Or di legacce, ora di calze un paro, 0 se vi sono nel pollaio loro, Per fare un dono, più pregiato e raro, Nell'agosto talor due polli offriro, Poichè altri oggetti posseder non miro.
36
Potrebbero l'inverno o presto o tardi, Quattro quaglie, sei lodole o sei tordi, Mandare ai fiscellar, che Dio li guardi, Che ai comandi altrui, non son mai sordi?,* Non dico quei che fanno da sogliardi, Che sarebbero vani i miei ricordi, Che non si accorda a niun ch'il tempo perdi Per prender pavoncelle o capoverdi.
37
Questi son da scusar, che augei non hanno, Che coi laccioli prender non li ponno Quelli, che a caccia notte e giorno vanno, Se ne prendono assai, vender li vonno; E ciò voi dir, che il dover lor non sanno, Che quando hanno da dar gli viene il sonno, Si mostra ognun dell'interesse alunno, Di inverno, estate, primavera e autunno.
38
Dovrebbero peraltro i fiscellari, Come fratelli amar tutti i pastori, Che senza questi non avriano affari, Neppur l'inverno i soliti lavori; Sarian forse costretti a far lunari, Fra l'inedia, l'angustie e crepacori, Così per mezzo lor sono sicuri, Fra l'anno guadagnar gran pezzi duri.

39
Non coi pastor che stanno coi mercanti, Fanno li fiscellari da scontenti, Coi moscetti bensì, che tutti quanti Presso i villaggi pascono gli armentì; Tutto l'estate mostransi arroganti, Ad ìngrassare i lor terreni intenti; Se dovessero comprar l'erbe de"monti, 0 quanto aumenterebbero i lor conti.
40
E perchè i fiscellar, se il dir non falla,
Hanno tutti, due pecore, un'agnella,
Una capra, un porchetto, una cavalla,
Una vacca, due bovi, un'asinella;
Non potendo tener dentro la stalla
Sempre tai bestie, in questa parte e quella,
L'erba convien cercar fuor della villa
Quando all'alba suonar si ode le squilla.
41
Ma nè per I'uno, e nè per l'altro lato Trovano un filo di erba lunga un dito Perchè il moscetto in ogni campo e prato Il suo gregge menar si rende ardito, E dove passa par che vi sia stato Il foco, essendo il numero infinito Dei loro armenti, come a tutti è noto: Dio li possi scampar dal terremoto.
42
Oltre di ciò, se col mio dir non erro, Pria che si ascondi in mar, del sole il carro Danneggiano, non già l'abete, o il cerro, Ma il grano, l'orzo la lenticchia, e il farro, Che per questo talvolta a qualche sgherro Gli vien tolta la giubba, od il tabbarro; lo non per tanto il disprezzo, o abborro Anzi pien di rispetto ne discorro.

43
Li fiscellari, che fanno i padroni Con altri dei paese alquanto strani,
Per l'espresse veridiche ragioni Li moscetti cacciar vonno dai piani;
Che portassero pecore e montoni A pascolar nei lochi ermi e lontani;
Ma questi per non spendere i quattrini
Non escono neppur dalli confini.
44
Non già per tutte le diverse ville Si odono raccontar quelle novelle, In Piedelpoggio sol perchè di mille Pastori abbonda, di capre, e di agnelle: Gli avversari talor fanno faville Dagli occhi, e forse rode a lor la pelle Che con ardire temerario e folle Insultano i pastor per ogni colle.
45
Non potendo altro far cotesti tali Parlano ai mozzorecchi empi e crudeli, Che di Leonessa presso i Tribunali Vanno ai clienti scardassando i peli: Che li moscetti nelli Dernaniali Pascono il gregge, e fan sentire i beli, Che sebbene vi stian tre mesi soli Sono in dovere di pagarne i noli.
46
Un mozzorecchio peggio del demonio A quei risponde: Jo per tai cosa smanio Se l'agnelle di Cajo, e dì Sempronio Pascono nel terreno del Dernanio, Portate avanti qualche testimonio Per potere ai moscetti aprire il cranio, Giacchè mi vanno tanto poco a genio E qui si tacque il parlator Menenio.

47
Li testimoni ch'erano occorrenti
Trovan due per paese in brevi istanti,
Per uomini creduti i più valenti,
E fur portati al giudice davanti,
Deposero costoro ìn pochi accenti,
Che i Demaniali son diversi epunti
Ma nel descriver li diversi e tanti
Trovaronsi ben presto al fine giunti.
48
Ma ogni moscetto dì eloquenza pieno Avendo un avvocato ottimo e buono; Vanno, e portano a questo in un baleno Quattro formaggi ed un abbacchio in dono; Che quando sciolse alla sua lingua il freno Parlò con energìa, che parve il tuono, E fè chiaro veder di mano in mano, Che citar li moscetti era pur vano.
49
Dicea: le terre senz'alcun padrone Che siano poche, e sterili sò bene, Che forse dieci pecore, e un montone Vivere vi potrian con stenti e pene, Da per tutta la fervida stagione Ogni mosceto il gregge suo sostiene Nel suo proprio poter, nelle vicine Terre ch'hanno a contatto il lor confine.
50
Se di tai fondi per antica legge L'annuo tributo un esattore esigge Pel Sovrano, che i popoli corregge Tassa è pur questa, che talor ne affligge Or la Comune, i possessor di gregge Far due volte pagar, mal si dirigge; Che non di urnane, o dì persone sagge Hanno simile il cor fiere selvagge. ,

51
Di Leonessa non già di Piedelpoggio La Comune potria qualche vantaggio Pretender da color, ch'anno l'alloggio Nel Comunale, ed ogni lor foraggio; Somma cavar dovrìano, onde un'appoggio Vi si formasse al debole villaggio, Che un uom dabbene ne avesse il maneggio Acciò le cose non andasser peggio.
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Armì addìetro si avea per cosa buona Che i moscetti sborsar dovean per pena Sol ducati sessanta, e ogni persona Questa cosa approvò con voce piena Cotesta somma, di cui si ragiona Serviva a risarcir la via che mena Da Piedelpoggio alla comun fontana Com'ancor questa quand'era mai sana.
53
Occorrea rintegrare anche ogni tanto La porta della Chìesa, e il pavimento Il forno diroccato io ogni canto' Soleasi accomodare in un momento; Quando le donne fanno il pane, o quanto Meglio sarìa se si potesser drento Chiuder, con ciò ch'hanno da tener pronto Per cuocere, onde poi trovare il conto.
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Delli moscetti a proseguir cotesto Costume antico io veggo ognun disposto, La sua porzion, quando verrà richiesto Chi piÙ, chi meno sborserà ben tosto; Onde al fine veder di quello e questo Estinta l'ira, ed il furor deposto, Sedar fra le due parti ogni contrasto; E qui sospese di toccare il tasto.

55
Uno dei caccia?pecore il più audace A questo dir così risponde, e dice: Se brama ogni moscetto aver la pace Onde il tempo avvenir viver felice Non sol dovrà quando gli pare e piace Ma tutto ciò che a lui conviene, e lice L'arretrato pagar pronto, e veloce Degli anni scorsi senz'alzar la voce.
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Quivi il suo difensor gran Cicerone Di questi detti non attese il fine Che visto avea portare in sua magione, Sei pollastri, un cappone, e sei galline L'interrompe dicendo: è ben ragione Da presumere ancor queste propine, Non han pagato per molti anni, e bene L'intera somma ora pagar conviene.
57
Allor soggiunse con parlare arguto Delli moscetti il celebre avvocato, Dicendo: invano è nel pensier venuto, A voi pagar del debito arretrato; Talor chi tutto vuol, tutto ha perduto Del presente parliam non del passato, Che dalli miei moscetti è stabilito Di non far la risposta a un tal quesito.
58
Pensate adunque e riflettete intanto Quest'è delli moscetti il sentimento Qui tacque, e gli avversari a lui daccanto Nessun dimostrò di esser contento; Senza ripeter più conte nè quanto Sciolsero la seduta in un moniento Dicendo, che a parlar di questo punto Si tornerà quando il momento è giunto.


59
Il giudice ch'avea l'orecchie tese
Ai lor diverbi al fin solo rimase; Dei difensori ciaschedun si rese
A scroccare i regalì alle lor case; Ciascun dei litiganti al suo paese Sollecito tornar si persuase,
E così quelli, che con false accuse
Benchè molti, nessun nulla concluse.
60
Un di questi fra gli altri il più saputo
Prese una pelle di olio a buon mercato, Nel volerlo gustar con labbro muto
Rimase o per dir meglio senza fiato; Poichè nell'otre, e chi l'avrìa creduto Dell'olio in vece il vento fu trovato; Questo accade a color ch'hanno il prurito Solo li fatti altrui mostrare a dito.
61
In giudizio tornar doveasi ancora
Per l'affare ultimar con gran premura,
Perchè li caccia?pecore tutt'ora
Mostravano qual pria la testa dura;
E perchè li moscetti a far dimora
Seguian nel Comunal senza paura
Eran guardati da mattina a sera Dagli avversarj lor con brusca cera.
62
L'anno avvenire ch'il sott'Intendente Per affari fra noi volse le piante, Delli moscetti la nemica gente Della lite il tenor gli mise innante; Ei pria li testimoni ascolta e sente Poi rivolto ai moscetti il suo sembiante: 0 fuor del Comunale, o in liela fronte Le monete a pagar tenete pronte.

63
Dovettero per tanto li moscetti Sborsar per forza con sospiri, e fiotti Cenciquanta ducati, o poveretti Siete. secondo me, belli che cotti; Che ogni anno ciò, pagar saranno astretti Per favor delli perfidi patrìotti, Che per essere a lor contrarj tutti Devon del Comunal pagare i frutti.
64
Benchè si scorge nella lite espressa, Che tutto il torto a quei dar non si possa, Non si dovea giammai dare a Leonessa La detta somma ancorchè non sia grossa; Dovea serbarsi per la villa stessa Giacchè ebbe fin ad or più di una scossa; Ma van'è il dir che stabilita, e fissa Fù la Sentenza nel finir la rissa.
65
Stà bene il dir che l'avvocato Coccia Delli raggiri invan segui la traccia; Spolverò de' clienti la saccoccia, Ed ha mangiato assai, bon prò gli faccia; Gli avrìa succhiato il sangue a goccia a goccia Dalle vene del petto e delle braccia Se durava di più la scaramuccia, 0 chi ha perduto invan per lui si cruccia.
66
Nell'età prisca il dotto Cicerone Prima soleva esaminar ben bene La causa, e poi rivolto alle persone Dicea: di litigar non vi conviene, Che del vostr'avversario è la ragione, Sù di voi tutto il torto a cader viene Onde il cliente persuaso al fine Non escìa dei dover fuor del confine.
gi
67
Chi Marco Tullio Cicerone imita Opera far non può che non sia grata; Coccia s'era persona più erudita Qual si credeva, e meno interessata, Difesa non avrìa con faccia ardita La causa di color ch'era spallata; E se ad esso la legge era ben nota Perchè mandarla tante volte in Rota.
68
Ma la cagione immaginar si puote, Costui per rimediar cento monete, Lusingò li moscetti in queste note: Lasciate fare a me, che vincerete; Così riempì le sue saccoccie vuote, Mettendo li moscetti entro la rete; Che, diversi anni per cotesta lite Le chiacchiere di lui furon infinite.
69
Con tutto questo nel veder partiti Dalla patria i pastor coi lor lanuti, Come le mogli appresso ai lor mariti Partire i fiscellari son risoluti; Sembra, dunque che andar debbono uniti E che l'uno coll'altro ognor si aiuti; Ma lascio questi andar tranquilli, e lieti Altre cose convien ch'io vi ripeti.
70
Lettor per altro ancor forte motivo
Più di un'altro pastor sovente io trovo
Senza padrone, e di ogni impiego privo
Afflitto sì, ch'anch'io dolor ne provo
Che sia vergaro o buttero cattivo
In qualche Masseria pur ve l'approvo
Che sogliono trattar, benchè sia bravo
Un servo lor come in Turchia lo schiavo

71
Quanti vi sono, se il mio dir non falla
Fra li pastori, a cui la testa frulla
Che sorpassano quei di Santa Galla
Pieni di fantasia di non far nulla;
E l'andar sempre col fardello in spalla
L'uno si spassa, e l'altro si trastulla;
Sanno ogni via tener, meno che quella
Stando a padrone, ove il dover l'appella
72
Vi sono anche i vergari ognor furenti
Bisbetici all'eccesso, e stravaganti
Levano le propine agli inservienti
Poco olio, pane nero, e sembran santi
Fanno mangiare ancor questi scontenti
In piccole scodelle tutti quanti,
Sono ma sempre ad oltraggiarti pronti
Che par tanti Circassi, e Rodomonti,
73
Ma vi son quelli affabili in maniera, Che stare in loro servizio ognun procura, Mostrano sempre aver ridente cera Onde i comandi lor nessun trascura, Quando ponno giovar mattina e sera Hanno per li pastor somma premura, Nè per questi hanno mai la voglia avara Cosa, ch'è in oggi in ver pur è troppo rara.
74
Ma quando è stanco sostener le some Dei falli di qualcuno ha per costume La sera senza dir, perchè, nè come, Prima di andare a ritrovar le piume, Fra gli altri appella il delinquente a nome, Che gli rechi davanti acceso il lume L'aver gli salda con argento e rame, Che lo fa rimaner come un salame

75
Quel padre che ci ha un piccolo ragazzo E fosse ancora un'asino da un pezzo Sopporta con pazienza ogni strapazzo A paragon di Giobbe in mezzo a lezzo; Intorno alla capanna, od allo stazzo Vigile sempre alla fatica avvezzo Più di ogni altro talor diventa sozzo Che il tutto fa per guadagnare il tozzo.
76
Fà similmente il venerando vecchio Affinchè sia guardato di buon'occhio Con luci aperte, e vigilante orecchio Verso la manda ognor piega il ginocchio; E col suo retto oprar serve di specchio, A più di un pigro giovane capocchio, E san ben custodir pecora, e abbacchio, Che il suo dover non abbandona un cacchio.
77
V'è qualche furbo ancora, e vi assicuro Che finch'è sotto l'occhio del vergaro Per sè, per gli altri par non gli sia duro Tutte l'or faticar come un somaro; Quando il gatto non v'è benchè all'oscuro Il sorcio balla, il paragone è chiaro, Allor ch'è lungi il superior severo Giace all'ombra costui senza pensiero.
78
buono e caro, affabile e gentile Ogni pastore, ma quando stà male Sia di gennaro il mese o pur di aprile Invan si esorta andare all'ospedale; Stassene alcuni dì presso l'ovile Finchè la malattia diventa tale, Che d'Esculapio poi figlio de! sole Son vane le ricette, e le parole.

79
In Roma è di venir costretto al fine
Per poter procurar la guarigione,
Di ottimo professor le medicine
Non cura affatto, anzi in oblio le pone,
Che dalla patria sua verso il confine
Senz'altr' indugio di partir dispone,
Parte, e và per le vie non sempre piane;
E le sponde natìe sono lontane,
80
Ma quel partir con forte febbre addosso Nell'algente stagion non ve la passo, Ch'il mai di mano in man fassi più grosso Mentre egli move in ver la patria il passo; Talvolta ancorchè giunge a più non posso Dal gran viaggio estenuato, e lasso, In vece di guarir succede spesso, Che dopo alcuni dì rimane oppresso.
81
Per via talor lungi dal patrio lito li malato spirò l'ultimo fiato, Se viceversa all'ospedal foss'ito Pria, che si fosse il mal tanto inoltrato, Potea sperare, a perfezion guarito Ritornar presto al suo primiero stato A pascolare il gregge suo lanuto, Nell'erbifere piaggie, ond'è venuto.


Fine del Canto quinto.