CANTO QUARTO

ARGOMENTO


Al cantante pastor detto Galeno Incognito il padron fassi vicino A cui dice, richiesto il qual terreno Gli fè veder la luce il suo destino; Come a leggere, e a scriver sotto il freno Di un suo collega apprese, e da Fratino; Il prodotto del latte a mano a mano Esprime, e del vergar l'amor strano.


STANZA PRIMA

Passando l'ore, il dì viene, il domani, Le settimane, i mesi e le stagioni, Torna la Primavera; e i nostri piani La mestizia di pria par che abbandoni; Sento di quà, di là, latrare i cani, Veggo pastori, pecore e montoni, Fuor dell'usato di letizia pieni Per valli, e colli erbiferi, ed ameni.
2
Più non si ode il fragor di ria procella, Tornata è l'aria placida è tranquilla; Torna a vestirsi il suol di erba novella; Presso la siepe il fior, la rosa brilla; Già torna il verde in questa pianta, e quella Ogni fonte qua( pria chiaro zampilla; E la rondine omai ritorna dalla Parte africana, se il mio dir non falla.

3
Solo a me non ritorna il bene amato Dal quale fù questo mio cor ferito Non torna a consolar l'innamorato Di cui forse l'amor non è gradito; Ma folle, invan pretendo avere a lato Coleì che adoro, in questo suol fiorito; Troppo lungi è da me, le voci a voto Spargo, ed all'aria l'amor mio fo noto.
4
Mentre così qual pastorel di Anfriso Galeno un giorno di bell'estro invaso, Versi cantava all'ombra amena assiso, Che forse gli parea stare in Parnasó, Sovra un'agil destierscorge improviso Un uomo di aspetto nobile, che il caso Vèr la sua volta il trasse, il quale inteso 1 dolci carmi suoi, restò sorpreso.
5
Questi era degli armenti il proprietario, Uomo che possedea senno e criterio, Che la sua masseria per necessario Tenea di riveder con desiderio; Dice al pastor: tu che ti prendi svario, Lino e Anfione, imitar potrai sul serio) Qual sia della tua patria il territorio Chi fu tuo correttor farmi notorio,
6
Il pastorel che non compreso avea, Ch'egli è il padrone della masseria Pensò di secondar quant'ei chiedea Per dimostrargli la sua cortesia, E perchè di cantar qual pria solea Sentivasi di aver gran fantasia; Di nuovo in tal tenor la lingua stia Sciolse: Signor fiat voluntas tua.

7
L'Anno mille ottocento in quel villaggio
Che dal volgo è chiamato Piedelpoggio
Trentasei giorni pria ch'entrasse maggio
La madre mia nel suo povero alloggio,
Veder mi fè la prima volta il raggio
Del biondo Nume, col celeste appoggio,
Ed allor cominciar per quant'io veggio Andar le cose mie da male in peggio.
8
Ebbi d'allora in poi contrario il fato, Che l'anno terzo pria di aver compito Dall'empia Parca il genitore amato, Benchè giovine ancor, mi fu rapito; Volle mia madre dopo aver versato Di pianto un mare, ripigliar marito, Ma per esser da lei sì ben veduto Spesso mi soccorrea con qualche ajuto.
9
Con due sorelle mie, fra mezzo ai guai Crescevo, e forse avea cinque anni in sei Quando di andare a scuola incominciai Coi fanciulli che aveano gli anni miei; A sillabare, in ver tosto imparai, E superati tutti gli altri avrei Studiato avessi almen per anni dui Presso il curato, ove tre mesi fui.


10
Volle il bisogno, e il fato mio rubello, Che meco si prendea gioco e trastullo, Che sortissi alla fin del patrio ostello Per cui lo studio mio divenne nullo; L'arte mi posi a far del pastorello, Ma cosa far potea così fanciullo Di forza avendo poca più di un grillo, Onde l'opera mia valea uno strillo.

11
Così degli anni nel più verde aprìle Pascea gli armenti, e mi parea star male, La ricotta talor troppo gentile Paremi la minestra senza sale; Oltre di ciò la paga mia mensile Era al bisogno mio troppo ineguale; E il non potere frequentar le scuole Era per me un dolor, che ancor mi duole.
12
E pur trovossi un certo tal, che fece Una spirituale opra che piace, Volle a me far di correttor la vece, Benchè su tal mestier poco sagace; Presso costui che non valeva un cece Io diventai per poco più capace In siballar, per cui la Santa Croce La scorrevo oramai franco e veloce.
13
L'anno avvenir se pur cambiai padrone Sola cagion delle vicende umane, li pensier non cambiai, nè l'intenzione Di studiar volentier di sera e mane; La dottrina comprai, che le persone Leggon per imparar cose cristiane, E questa per l'erbifere colline Leggevo il giorno per trovare Al fine.
14
V'era un pastor fra gli altri ottimo e buono Di età non molto giovane, nè anziano Oltre. che m'imparò, non ti canzono, A leggere per più di un'anno sano, Ben conoscer mi fè quante mai sono, Le lettere occorrenti all'Italiano Idioma nostro; e non greco, e latino, Perchè non era l'orator di Arpino.
15
Veggo formar da questi un cartolaro Che rigarlo si prese anche il pensiero 11 toppaccio di seta al calamaro Mise e sù quel, versò l'inchiostro nero, Con una lama poi di fino acciaro Temprò la penna, e l'alfabeto intero Scrisse in un foglio, ed io l'osservo e miro In guisa tal, che dal piacer deliro
16
Di notte o giorno, di mattina, o sera
Pieno di volontà per la scrittura
Quest'esemplare, tale e qual com'era,
A copiar cominciai con somma cura,
Che in pochi dì facea diventar nera
Una risma di carta, e la lettura
Non lasciavo in oblio neppure un'ora
Che sì mi alletta, e mi diletta ancor,?..
17
lo mai volgevo alli laccioli i guardi
Con cui pigliar per li boschetti i tordi;
Nè per prendere le lodole fra i cardi
Posi gli archetti mai ch'io mi ricordi,
Per ie selve; dicea, presto nè tardi
Facil cosa sarà che' andar mi accordi;
Possibil non sia mai, che il tempo io perdi
Coi ciarlotti, pivieri e capoverdi.
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E qual disposti i miei compagni sono Filai? la lana per il monte, il piano Non mi disposi mai, nè pur fui buono In far le calze esercitar la mano Poste tai cose tutte in abbandono Non facev'altro tutto il giorno sano Che scriver semp ' re, o pur leggere almeno Che questo sol mi dilettava appieno.

19
Sebben per poco tempo io fui corretto Da quel pastor, che mi teneva sotto, Scorso un'anno neppur per mio diletto A scriver cominciai qualche strambotto, E quel che più mi riscaldava il petto Quando d'altro pastor più saggio e dotto Sentivo il canto alla cui volta a un tratto Correvo, e l'agne abbandonavo affatto.
20
Spesso ad un certo Benedetto Lalli, Lettere in rozzi versi io scriver volli, Dell'Anguillara dalle amene valli Veniano le risposte in questi colli; E correggendo di mia penna i falli Gli avidi miei disir facea satolli, Avendo anch'esso in giorni più tranquilli Bevuto agli Ippocrenidi zampilli.
21
Ma di venir con questo a paragone Dovetti ricercar le vie più piane, Varj libri acquistai nell'occasione, Quando i soldi facca vendendo il pane; E del Vergaro mio ch'era Andreone Mi facevo spiegar le cose arcane, Essendo uomo scientifico, e da bene Abbeverato al fonte di Ippocrene.
22
Se l'Arcadia leggea del Sanazzaro, L'opere di Virgilio o pure di Omero Solea pregar Fratino il pellicciaro, Che ciascun verso mi spiegasse intero; Gli oscuri sensi mi metteva al chiaro, Che distinguer sapea dal bianco il nero, Perchè di Elico al fonte chiaro e puro Spesso volgeva il piè franco, e sicuro.

23
Questi della mia patria, anzi parente Benchè di varj oggetti è negoziante, Della mitologia parla sovente Coi?ne ancor dell'istoria ad ogni istante; Se non compone i versi, ha nella mente Tutte le muse accolte essendo amante, E nell'esprimer le sue frasi pronte Mover lo vedi labro, ciglio e fronte.
24
Quando fra li pastor cose racconta Questo, e quello al suo dir quasi si incanta, Che a Plato, ad Aristotele il confronta Sebbene egli esser tal giammai si vanta; Che sia fra gli astri un sol che mai tramonta lo dir potrei, che la sua luce è tanta, Che gli ecclissi non teme, e non paventa, Che dell'umor latèo resta mai spenta.
25
Solea dirmi costui! Giuseppe Vanni 2 fra i poeti un dei migliori alunni Rosi, che veste di Torquato i panni Fa il suo grido sentir dai Galli agli Unni, Un Antonio Pasquali eguale al Gianni Sà parlar degli estati, e degli autunni Se scrivere a costor tu l'ali impenni Adempiranno volentier tuoi cenni.
26
Al Menzini, al Frugoni un tal Vittucci Somiglia nei poetici capricci;
S'ascolti improvisar Pasquale Bucci
Lo credi figlio dei famoso Sgricci;
Se parli con Andrea dei Pietrolucci
Ravvisi in esso Angelo Maria Ricci.
Se tutti questi per amici abbracci
Non occorre, ch'io più scuola ti facci.

27
Con questo ragionar pieno di ingegno Prendo coraggio, e la mia penna bagno Spesso nel calamar senza ritegno, Scrìvo ottave all'amico ed al compagno; E benchè lungi all'apollineo regno Senza curar giammai verun guadagno Davo lezione a chi ne avea bisogno; Da discepol maestro? ah.... parmi un sogno.
28
Fra i miei colleghi si mostrò cortese Chi senza nulla apprendere rimase Che a render paghe le sue brame accese Con maniera gentil mi persuase; Poichè dovendo scrivere al paese Per le nuove saper delle lor case, Per compiacergli io con non lunghe prose Scrìvea per essi alle dilette spose.
29
li vergaro però, che vìgìlante
Guarda se il suo dover fa la sua gente:
Sbuffa talor con torbido sembiante
Gira sopra di me l'occhio sovente,
lo che di ciò mi accorgo ad un istante,
Sebben mi guarda, e non mi dica niente
Di scriver lascio, e in un chino la fronte
E mostro aver per lui le voglie pronte.
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Sufficiente non è talor far questo, Che mentre leggo il Tasso, e l'Ariosto Con le sue grida si rendea molesto, Ch'io sotto terra mi saria riposto, Con ira mi dìcea: quando cotesto Pensier di legger tanto avrai deposto, Forse col dare a tanti libri il tasto Credi di diventar nuovo Teofrasto.
31

Vergaro, io rispondea, lo sò che ho torto, L'aver tutt'ora in mano un libro aperto, Ma convienti scusare il mio trasporto giacchè male ad altrui non fò per certo; Non già presumo esser di scienze il porto Nè tampoco emulare il magno Alberto Ma sai perchè dallo studiar non parto: Sol di quel che tu sai saperne un quarto.
32
Rammento il detto dei proverbio antico, Che col molto studiar s'impara poco, E certamente non apprende un fico Chi solo studia per diletto e gioco. E per questa ragione io mi affatico, Ad essermi propizio il Cielo invoco Per saper poco io varj libri ho meco, Se li leggo talor qual datino reco?
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A questo dir benchè sospendea l'ira
Mostrava sempre aver la fronte altera;
E certo un bel piacer quando si mira
Un capo aver sempre ridente cera;
Se torbido talvolta il guardo gira
Tutti i torti non ha, la cosa è vera,
Ma li trasporti dell'età immatura
A voler compatir detta natura.
34
Mille ragioni avea, mentr'io gli armenti Lasciavo andar da sè cori passi erratiti Ed ìo leggevo, o pur scrivevo accenti Coi miei colleghi delle muse amanti; E per fuggir dei sole i raggi ardenti' Star gli facevo all'ombra tutti quanti Senz'appressarli alle vicine fonti
Per farti bere, o pur si, ji monti

35
Quante volte con gli altri a piè di un faggio Stavo parlando di color, che il seggio Hanno in Parnaso, ovver di qualche saggio Autor, che ai nostri tempi egual non veggio. E l'agnelle per loco ermo, e selvaggio Givan, per dir così, quasi alla peggio, Che poi le raggiungea presso quel poggio Dove hanno i lupi tutto l'anno alloggio.
36
lo meritato avrei che il buon vergaro
Detto mi avesse, o di cambiar pensiero
0 di andar via da lui senza riparo
Che degno star fra suoi pastor non ero,
Ma non essendo in perdonare avaro
Solea soffrirmi, e se talor severo
Mi facea un rimbrotto acerbo e duro,
Di rado io rispondea, signor ti giuro.
37
Che facevo fra me questo riflesso: Quantunque il fallo mio non sia colosso Sarà meglio tacer nel tempo stesso, Che il vergaro potria venirmi addosso; Che in ogni caso, il ver qui ti confesso La polpa egli vuol sempre, e a noi dar l'osso Sebbene il torto è suo vol far fracasso Se ragion non gli dai ti manda a spasso.
38
In mezzo a tante mie vicende strane S'io non avevo d'imparar passione, Or non potrei parlar delle profane Nè dell'istorie sagre all'occasione. Sarei simile a quel che si rimane Senz'acquistar veruna cognizione, Che non saprei neppur distinguer bene Li delfini del mar dalle balene.

39
Ultimando i miei studj in questa foggia Non mai corretto da persona saggia Molestato or dal freddo or dalla pioggia Or dal lampo, or dal tuono in ogni piaggia, In me per ciò poco sapere alloggia; Che la mia mente il sol ben poco irraggia, Se l'egra penna mia talor verseggia Tante volte non sà che far si deggia.
40
E pur contento son benchè col dotto
Paragonarmi non mi passa affatto,
Sò fare il nome mio, qualche strambotto
Vado facendo il dì tratto in tratto;
Molti in sapere a me stanno al disotto
De' miei compagni, per non aver fatto
Lo studio che ho fatt'io, che arai più dritto
Per poter legger bene il manoscritto.
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Signor, credo di aver la tua richiesta Col far de' versi miei lunga una lista Adempita oramai, solo mi resta Parlar della mia sorte iniqua e trista Di cui mi lagno, e la cagione è questa Che in un'anno da me poco si acquista E ristretto il salario, onde non basta Il bisogno frenar, che mi sovrasta.
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Con la spesa che passano i padroni
Poterci utilizzar son pensier vani,
Sei pagnottelle, e non seì pagnottoni
Ci danno al giorno dei peggiori grani,
E li vergari a chiacchierar son boni
Con dir che siamo noi pastori strani
Ma parlano così perchè i quattrini Non gli mancano mai nei borsellini

43
A noi sol tocca per antica legge
Andare il dì per queste erbose piagge,
Comunque il tempo sia guidando il gregge,
E ben sovente in parti erme e selvagge;
Sol per voler di lui che il tutto regge
Dagli antri a mala pena il piè si tragge,
La pioggia, il ghiaccio in guisa tal ci affligge,
Che ci toglie talor l'umana effigge.
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Dopo aver tutta la giornata intera Guidato il nostro gregge alla pastura Oltraggiati tutt'or dalla bufera, Che a ripensarci sol mi fà paura; Pria, che tramonti il sol vicino a sera, Pria, che sia l'aria tenebrosa e oscura, Stanchi alle mandre ritorniamo allora Dove convienci travagliare ancora.
45
Venne ciascun pastor dentro la nicchia, Col vaso fra le gambe si accovacchia Entra la pecorella e l'avviticchia Con l'ancino da lui fatto alla macchia Le preme il latte, andar la lascia e picchia, Vien l'altra, che da sè le gambe scacchia E cosi per seguire l'usanza vecchia Munge, e rimunge, alfine empie la secchia.
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Se un pastor non si mostra agli altri eguale In tal faccenda, come accader suole, Che munger l'uno più dell'altro vale, Che ancora in questo, abilità ci vuole; Con asprezza il vergar ti?atta quel tale, E lo minaccia ancor con le parole; Senza riguardo dell'età senile, E nè tampoco della giovenile.

47
Quindi per ultimar l'altre faccende Riunito il latte dentro un vaso grande Si condensa, si squaglia, indi si appende Fra due staccioni, e molto ben si spande, E sotto la caldaja il foco accende Il focoliere senza far dimande; Spesso in essa il cacier la mano infonde Per sentire il calor se corrisponde.
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Giunto a quel grado di calor che basta, Dal foco, ove era pria vien riposta La caldaja, e il cacier tasta e ritasta, Del cacio il masso in una parte accosta; Ridotta in pezzi poi fa molle pasta Nei cerchi preparati a bella posta Vien messa al fine, e ognun di noi l'aggiusta Stringe, ed allenta il cerchio, e non ne gusta.
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vergaro passeggia, e guarda il tutto Se qualcuno di noi fosse ghiotto, Che per gustare quel vietato frutto Se ne mettesse in bocca alcun pezzotto; Ma bada ognuno a far venire asciutto Il suo formaggio che di sopra, e sotto, Uscir facendo il siero in modo esatto Affinchè il suo lavoro venga ben fatto.


50
Mentre in questo lavor prendiamo impegno
Affinchè loco mai non abbia un lagno,
Si torna al foco il latte, e più di un legno
Vi aggiunge spesso il focolier compagno,,
Ma pria, che di bollir dia chiaro il segno,
Il vergaro, che cerca ogni guadagno,
Nella caldaja mille volte il grugno
Affaccia, e guarda col suo lume in pugno,

51
Pria che sia cotta la ricotta, in vero, Levar dal fuoco ci ordina il vergaro, Per comparirla a noi prende il pensiero li buttero con atto alquanto avaro, Perchè troppo gentil diventa fiero Quando appena si tocca coi cucchiaro; Ed io che tanto liquida la miro Prima guardo Brunone, e poi sospiro.
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Se la ricotta un poco pria non bolle Rimane lenta assai nelle scodelle, Ma il vergaro talor così la volle Per poterne riempìr varie fiscelle, L'avide brame sol per far satolle Del proprietario di coteste agnelle; Se noi parliamo, corpo di Anibballe Provaria darci un calcio nelle palle.
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Per farsi ben voler dal suo padrone Tratta il pastor, come il pastore il cane E mostr'aver mai sempre ogni attenzione Sol per la masseria di sera e mane Affinchè gli si accordi in guiderdone Che le richieste sue non siano vane, Facendo economia farà pur bene Ma toglier non ci dee quel che ci viene.
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La diletta consorte essendo bella Tiene con se l'inverno, e si trastulla, E non pensa ai pastor, pensa per quella, Che a dir il ver, non le fà mancar nulla; Desinando con lei qualche animella Si mangia bene spesso, e se ne sgrulla; E bagna i labri suoi con qualche stilla Di quell'umor, che nei cristalli brilla.

55
Mangia, e beve costui, di ogni vantaggio Profitta, avendo tra' pastori il seggio; Noi ben di rado un pezzo di formaggio Gustiamo, e pur se n'ha sempre il maneggio; La ricotta ci dà quasi in assaggio, Mai se uno parla, e se non parla è peggio, E pur per evitar qualche litiggio Si cerca nel servire ogni prestiggio.
56
Chi poi non ubbidisce la vergara Pien di rispetto, e con genti maniera, Se presto di andar via non si prepara Minacciato sarà con brusca cera, Ma se un pastor ci ha un figlio, o la somara Il tutto soffre da mattino a sera, E most'aver per lei somma premura, E non parla giammai perchè ha paura.
57
Nello stato di cui parlo e ragiono Un'altr'anno passar vorrei nè meno, Ch'oramai stanco più di ogni altro sono Di aver del branco delle agnelle il freno; Mandre, ovile, e capanne in abbandono Lasciar vorrei, che di soffrìr son pieno, La mia sorte tentar, là di Quirino Nella Città drizzare il mio cammino.
58
Non per aver maggior diletto, e svario Penso lasciar il pastoral tugurio, Ma sol per aumentare il mio salario, Poichè l'ozio non amo, anzi l'ingiurio; Posibil fosse non aver contrario Giove, Saturno, Uran, Marte e Mercurio, Che l'avere in campagna il dormitorio, Meglio star cento volte in Purgatorio.

59
Febo che dal meriggio ha omai trascorso
Alcuni gradi, e già si affretta verso
,L'Iberia sponda, ed il mio gregge il corso
Tiene da quel di pria molto diverso;
Seguirlo è duopo, affinchè alcun ricorso
Non abbia dal vergar, sospendo il verso,
Qual, perdona signor, se pur ti è parso Privo d'ingegno, e d'eloquenza scarso.
60
Qui soggiunse colui, che ad ascoltare
Stava il di lui cantar, con istupore,
Con dir: mi rallegro assai del singolare
Tuo genio, a quel di Orfeo fforse maggiore
Chi mai creduto avria poter trovare
Lo stil di Tasso in semplice pastore.
Per cui ti ammiro, e ti consiglio avere
Sempre volto alle muse il tuo pensiere.
61
Quello di andar nella Città Latina
Scaccia dalla tua mente, ed allonana,
Gente là v'è d'ingegno, e di dottrina,
E pur per impiegarsi ogni opra è vana;
Trovasi in ogni rosa acuta spina,
Da per tutto non è la strada piana,
Segui a star dove sei, che ogni persona Ti crede il figlio della Dea Latona.
62
Facil cosa essser può, che non col canto
Ma col tuo retto oprar, col suo talento
Vederti un dì, non già le muse accanto
Pronti agli ordini tuoi pastori cento,
Ed allora in salario avrai quel tanto
Da poter fare il tuo bel cor contento,
E sicuro esser dei, ch'a un simil punto
Da negletto pastor più di uno è giunto.
63
Sei giovanetto ancor, può darsi il caso Vederti un giorno a questo grado asceso, Che paziente sarai son persuaso il vergaro ubbidir non ti sia peso, E col pensier benchè volto in Parnaso Sarai mai sempre a sodisfare inteso Quando richiede il tuo dovere, e l'uso Onde il capo non faccia brutto muso.
64
A tal dire il pastor: di onor sublime
Signor ben degno, ed eloquente insieme,
Mi piace assai quanto da te si esprime,
Ti son ben grato che di me ti preme,
Qual ti piacque ascoltar mie rozze rime
Ancorchè di armonìa del tutto sceme
Ti piaccia a me svelar, non quando, e come
Oggi sei giunto qui, solo il tuo nome.


65
Che poscia impresso nella mia memoria Quando il sangue mi bolle entro l'arteria Decantar tra i pastor la di lui gloria Potrò senza cercare altra materia, Quest'incontro per me sarà un'istoria Da parlarne tutt'or con mente seria, Se la tua volontà non ho contraria Lieto rimango a respirar quest'aria.
66
L'altro: se non in tutto in parte almeno Voglio adempir la tua richiesta: io sono il padrone dei gregge, il di cui freno Non lice a te lasciare in abbandono; Quasi confuso e di stupor ripieno Resta il pastor di tai parole al suono E qual suddito avanti al suo sovrano Con atto umil prende il cappello in mano

67

E mentre supplicar lo volea forse A perdonar le rime sue diverse Se la sua lingua i limiti trascorse Benchè per dire il ver la bocca aperse, L'altro, che verso lui venir si accorse Di lontano il vergar per vie traverse Sprona il cavallo, allenta il fren, scomparse Al fin da gli occhi suoi, nè più comparse.
68
Galeno il pastorel poichè le spalle Gli volse il suo padrone, a gambe snelle Raggiunse al fin nella propinqua valle, E radunò le sue smarrite agnelle, Rimessele dipoi nel dritto calle Dov'è copia maggior di erbe novelle, Di quanto accadde a lui poc'anzi, volle Con Brunone parlar ch'era sul colle,


69
Cui disse: amico mio credo aver fatta Una faccenda poco ben costrutta, Coi padrone parlai della mia schiatta, E dei nostro mestier, che poco frutta, Dissi ancor dei vergar come ci tratta, Che fa talor lagnar la gente tutta; Ma s'io lo conoscea, con più corretta Lingua, parlato avrei con minor fretta.
70
Temo che risapendolo il vergaro Mi prenda in odio benchè ho detto il vero; A vendicarsi poi senza riparo Rivolgere potria tutto il pensiero, Farmi inghiottir qualche boccon amaro Con additarmi, e dire: ecco il sentiero, Che mena dove andare hai fatto il giuro; Vanne dunque colà te più non curo,

71
Sorridendo Brunone a tai parole Risponde, e parla chiaro e naturale: Dire al padron che ogni pastor si duole, Piuttosto hai fatto bene e non già male, E se costui segreto esser non suole, Che la cosa racconti, tale e quale, Ti leveranno un pelo il più sottile, Dalla parte recondita e gentile.
72
Discorrendo così, con l'agne a tergo, Movono i passi per l'erboso margo, Avvicinando al pastorale albergo, Si van per calle spazioso e largo. Or che son giunti, io che non parlo in gergo Mentre per ambedue l'inchiostro spargo, Il filo che lasciai riprendo, e purgo La penna intanto, qual facea Licurgo.

Fine del Canto quarto.