CANTO TERZO

ARGOMENTO
Vanno per le capanne i pelliccìari Colle lor mercanzie, varj cantori Sono mortificati. in versi chiari Scrive Antonio a Carretti e in pochi errori Ottien grata risposta, ed i vergari Fanno su questa lettera i censori ' Si oppone Ilario, e svela i suoi pensi . eri Contro il censor con termini severi.


STANZA PRIMA

Per compiacere in tutto i miei lettori Devo parlare ancor dei pellicciari, Che circa un mese dopo dei pastori Han per uso lasciare i patrii lari; In Roma poi per non versar sudori, Fan provvista di storie, e di lunari, Mille altre cose comprano a sospiri Per far con queste i consueti giri.
2
L'esca, pietre, acciarini e solfanelli, Dottrine e Sante Croci pei fanciulli, Pettini di osso, spille, aghi e quadrelli, Specchi, rasori da tagliar tarulli, Hanno chiodette, forbici e coltelli, Che l'uno e l'altro par che se ne sgulli, Altri oggetti, che valgono due strilli, Vendono qual si usava in diebus illi. e

3
Con questa mercanzia sopra a un somaro Vanno per tutte le capanne in giro, E col permesso di ciascun vergaro Hanno la sera un ottimo ritiro; Per lor nessun pastor si mostra avaro, Che rimediano poi s'io non deliro, Per cena un piatto, fra ricotta e siero, Con un pajo di pagnotte, e dico il vero,
4
Avidi del denaro tutti quanti, Che pare, che non siano mai contenti Nel contrattare oggetti vari e tanti, Quel che hanno a dieci lo ridanno a venti; In questo modo un tal Giuseppe e Santi, Un certo Carestia fanno portenti, Ma pur l'odi lagnar nel fare i conti, Nè vi esagero punto i miei racconti.
5
Mille altri ve ne son, che varj oggetti Comprano, e poi rivendono ai patriotti, Ma non li paragono agli anzidetti, Che son più esperti, più sagaci e dotti, Questi parlan di ottave e di sonetti In tutto eguali all'asino dei Grotti, E fra pastori sù i recenti fatti, Credono saper far racconti esatti.
6
Un dice: là nella Città Latina, Contro del Municipio si ragiona, Perchè si paga cara la vaccina, E la carne di pollo non canzona, Di qualsiasi legume e di farina Sento che ne abbisogna ogni persona, E quanta gente che travaglía e pena, Se il pranzo fà, difficilmente cena.

7
L'altro parla di tasse e soprattasse E và facendo le miserie espresse, Che stanno tutti coll'orecchie basse, Mentre stà mal chi fila e mai chi tesse, Mover poco vi ponno le ganasse, Che và male per tutti l'interesse; Quant'era meglio che colle sue posse Venuto Emanuel quivi non fosse.
8
Qui risponde il vergar persona dotta
E dalla bocca tal parole erutta:
La famiglia real quivi condotta,
Per solo comandar l'Italia tutta,
Si poteva sperar, che dopo cotta,
La minestra mangiare, ancorchè asciutta,
E veder dalla manca, e dalla dritta,
Scemar sempre vieppiù la gente afflitta,
9
Hai risposto vergar tu bene assai, Combinano li tuoi coi sensi miei, S'è ver che peggio non è morto mai Migliori Cose sperar non le saprei; Che maggiormente crescono li guai, Di giorno in giorno persuaso sei, Che a dir costretti saremo per cui: Forse meglio si stà nei regni bui.
10
Dovendosi trovar sempre nel duolo Meglio sarla gettarsi in mezzo al Nilo, Il vino dieci lire il quartarolo, Il pane stà dodici soldi il chilo, Le pigioni son'ite all'altro polo E gli esattori le vonno di filo, Qualcuno che ritarda, io non vi adulo, Vien cacciato da casa a calci in culo.
11


Povera Roma, se ben si riflette, Risponde un terzo con parole dotte, Pochi anni son non ci mancava un ette, Ch'erano assai più grandi le pagnotte, E invece rovinar le colonnette Che l'hanno tutte fracassate e rotte, E perchè non pensare a fugar tutte, In qualche modo, le miserie brntte?
12
Convien di dir che questa gente è pazza, Che le colonne fur per lunga pezza, Dei palazzi agli ingressi e in qualche piazza, Per comodo non già, ma per grandezza, Per questa cosa il popolo schiamazza, Del Municipio gli ordini disprezza, Ma se pien di prudenza non ci abbozza, Al fine gli sarà la lingua mozza.
13
Queste cose e tante altre, a tempo e loco Raccontano ai pastor per uso antico, Per potersi fra questi a poco a poco, Farsi il vergar più che il pastore amico, Per averli trovati in più di un loco, E sentiti parlar per ciò vel dico, Ma qualcun di cervel, debole e ciuco Fece con il suo dir, nell'acqua un buco.
14
Lettor, sopra li nostri commerciantì Non ho più voglia di formare accenti, Che per la fin di aprile tutti quanti, Sono alla patria di tornar non lenti, E perchè debbo andar molto più avanti, Con li custodi dei lanuti armenti, Ad essi riedo pria che il sol tramonti, Per poi continuare i miei racconti.

15
L'Equinozio si appressa, e la novella Stagion di Flora, che nel volto brilla, Di fronde il bosco, il suol di fiori abbella E l'aria rende tiepida e tranquilla; Rigor di verno in questa parte e quella, Più non sente qual pria Tirsi e Dorilla, E la caccia oramai par che si annulla, Benedetto in tal guisa si trastulla.
16
Prende una frasca, ed una forcinetta Forma, e di lana più fili vi adatta, Questi con arte và tessendo in fretta, Che in quattro giorni una legaccia è fatta; Poi comincia e finisce una calzetta, In varie guise, e senza dubbio esatta; Pria filando però finchè si annotta Per le valli sen và di Malagrotta.
17
L'amico amante delle nuove suore Il Goffredo talor si ode cantare, Come Erminia in balìa dei corridore, Giunse dei bel Giordano all'acque chiare, Come accolta fù poi da quel pastore Con cui diversi di dovè passare, Facendo note le di lei sciagure Sola cagion delle amorose arsure.
18
Di quel settimo canto io sento spesso Le prime ottave recitar Tomasso, Che l'esercizio pastorale espresso In esso fa con chiare note il Tasso; Con qualche verso ne a men e impresso Con li compagni suoi fa lo smargiasso, Ma perch'è un uomo di cervello grosso Dalla carne non sà distinguer l'osso.


19
Questo vuoi dir, che leggono le ottave, Spiegarle in vano poi fanno le prove Perchè presume di trovar la chiave, Orazio spesso al dir la lingua move, Ma risponde il vergaro in voce grave, Che sembra fra' pastor, dei numi Giove E che il saper delle castalie dive Dimostra aver se parlo, o pur se scrive.
20
Di tal materia a voi parlar non tocca Che a dire il ver non ne capite un'acca, Meglìo per voi, che non apriste bocca Poichè prendete un bue per una vacca, Creder vi fà che piove allor che fiocca La vostra mente assai debole e fiacca, E scommetto, che a voi non entra in zucca Che siano due città, Firenze e Lucca.
21
Non sapete neppur per quel che intesi Cosa un secolo sia, ch'io ne rimasi, Nè quanti un'anno, ha settimane e mesi, E credete esser poi di scienza invasi, Non sapete parlar degli astri accesi, Nè della luna numerar le fasi, Se gira il sole, o se la terra posi Che a ragionar per ciò siete ritrosi.
22
Forse credete di svelar le arcane, E spiegare le cose alte e Divine, D'uopo è mangiar di buon maestro il pane, E nello studio incanutire il crìne; Legger l'istorie ognor sacre e profane, E ponderar principio, mezzo e fine, Onde poter parlar dei gran Marone, De' scritti di Aristotile, e Platone.

23
Colle piccole istorie, ogni trastullo Prender si può di voi, ben questo e quello, Ma di Stazio, Properzio e di Catullo Conoscer non potrete, il buono e il bello, Nè Virgilio spiegar, Plauto e Tibullo Essendo molto scarsi di cervello, Che per questo parlate a rompicollo De' seguaci dottissimi di Apollo.
24
Con questi detti il parlator vergaro Mortifica, Lorenzo ed Isidoro, Per cui d'uopo sarìa senza riparo, Che rispondesse a lui qualcun di loro; E gli dicesse: ah tu non sei quel Varo, Nè puoi paragonarti a Lucio Floro, Ad un Baldo neppur, che a dire il vero, Peggio degli altri, non conosci un zero.
25
Ma essendo il capo di essi, ben conviene Benchè abbia torto, di dargli ragione, E quando parla lui, dir che va bene, Se anche il saper negasse a Cicerone; Che se qualcuno a contradir lo viene Lo potrà far restar senza padrone, Tutti rivolti a lui per questo fine, Fingano di ascoltare cose divine.
26
innegabil però che tra vergari Non vi siano alte idee, vasti pensieri; Un certo Giammaria ch'è un dei più rari; Che del sapere ognor calca i sentieri, Andrea potrebbe star di Tullio al pari, Come un Gioacchino, e i detti miei son veri, Questi ed altri, benchè sono pastori Potrebbero servir di correttori.

27
Se per caso tì trovi in qualche imbroglio, E ricorri da lor per un consiglio, Saprai nel mar come evitar lo scoglio, E portar salvo in porto il tuo naviglio; Ti ponno anche giovar vergando un foglio, Che alla penna qualor danno di piglio, Per fare in prosa qualsiasi dettaglio, Scrivono senza far veruno sbaglio.
28
Sotto la corrrezion di questi dotti Apprendono i pastor più giovanetti, A leggere ed a scrivere strambotti, A compor belle ottave, e bei sonetti; Quindi a foggia di lettere ridotti, Questi versi da lor sono diretti A quelli amici lor, che sono adatti, Per fare ad essi poi rincontri esatti.
29
Quelli che sono delle muse amanti Veri custodi de' lanuti armenti, A quei che son de' carmi dilettanti, Scrivono ben sovente in questi accenti: Caro Alessandro, a questi rozzi canti Rivolger gli occhi per amor consenti, Ora che son nelle tue mani giunti, Sebben mancano in lor, virgole e punti.
30
Se rilevar non puoi nulla di buono, In questi versi, scritti di mia mano, Spero mi facci degno di perdono, Che dalle scuole fui sempre lontano, Enterpe, Erato, amiche a me non sono,
Se Apollo invoco mi affatico invano, E Libetro, Ipocrene e Gabbalino Non sò se siano lungi o pur vicino.

31
Mi consolo che tu sei diventato, Se pur falso non è quanto ho sentito, Un Petrarca novello, ed un Torquato, Di ogni saper, di ogni virtù fornito, Sei più di ogni aliro dalle muse amato, Vai pel sentiero Ascreo, franco ed ardito, Provo sommo piacer di aver saputo, Ch'hai sul Parnaso, il primo posto avuto.
32
Con istupor da mille bocche io sento Che se sciogli talor la lingua al canto, Formi un sì dolce, armonico concento, Che Lino, Anfione e Orfeo, ti cede il vanto. Qual nocchier che ha sempre, in poppa il vento Lieto ti veggo con Calliope accanto, E perchè hai l'estro assai fervido e pronto, Chi ti sfida cantar, fa male il conto.
33
Se talora il desio, ti spinge e sprona A scriver versi a sera, o pur mattina, Stupido inarca il ciglio ogni persona, Perchè la penna tua sembra divina, Rime perfette, Clio ti porge e dona, Melpomene tuttor ti stà vicina, E il metro a ben propor, con faccia amena, Sò che Talia ti dà spirito e lena.
34
S' è ver che giunto, a superar tu sei
Quel Vate, che cantò gli antichi Eroi,
Per cui sei degno star fra Semidei,
Ch'un'altro egual, non fù prima nè poi;
In linguaggio poetico vorrei,
Che agevolmente, tu ben far lo puoi,
Dalle tue mani un foglio scritto omai,
Ch'io grato ti sarei di ciò che fai.

35
Spero che un tal favor, negar non vogli, Nè disprezzar cotesti miei consigli; Tu sai ch'io t'amo, e più di amar m'invogli; S'oggi solo in mio prò, la penna pigli, Tanti saluti affettuosi accogli, Quante sono nel mar, barche e navigli, Quanti alberi nei boschi, e fronde negli Alberi e stelle, nei celesti spegli.
36
Tanti saluti agli altri pastorelli, Darai da parte mia, per quanti grilli, Odi cantar, per questi prati e quelli, Nelle notti e nei giorni più tranquilli; Quanti vedi volar, per l'aria augelli, Dalle fonti sgorgar chiari zampilli, Quante nel nuovo april, fra l'erbe molli, Spuntano fior, per l'ime valli e colli.
37
Tanti saluti dar, quindi ti prego, Quante arene ha nel seri Meride, il lago, A lui che tiene, di vergar l'impiego, Di cui li cenni rispettar sei vago: li buttero di poi, se pur mi spiego, Per quante stille d'acque ha il Tiggi e il Tago, Tante volte saluto, e il foglio rigo In altra parte, e in questo dir mi sbrigo.


38
Questi versi che a te con fretta spingo, Che siano pien di errori, io ben convengo, Ma che gradir il vogli, io mi lusingo, Per correggerli poi pronto ti tengo; Il folle ardire a perdonar ti astringo, Ad annojarti io più non mi ti?attengo, Che la risposta affretti il cor t'i pungo, Mi sottoscrivo, e piú non mi dilungo

39
Fatta nel foglio poi, la soprascritta, All'amico l'invia con tutta fretta, Per man sicura, o per la via più dritta, Giugge in mano di lui, che non l'aspetta; Lo schiude e legge, e l'occasion profitta, Per poggiar di Parnaso all'alta vetta, Onde ottener dalla sua Musa dotta, Di rime e versi, una copiosa frotta.
40
Con fervido desio, senza intervallo, Nel principio dei canto invoca Apollo, Che gli conceda il Pegaseo cavallo, 0 la lira, che ognor gli pende al collo, Che l'egra penna sua non faccia un fallo Come quella del Bondi, o pur di Mollo, E qual se fosse Tasso, o pur Camillo, Scrive con estro tiepido e tranquillo.
41
Antonio mio carissimo, rispondo Alla lettera tua scritta sul Pindo, Leggendola provai piacer profondo Per quello stile ch'hai pari a Labindo; Ravviso in te quell'Orator facondo, Che non ha egual dall'occidente all'Indo, Fai con la penna tu quanto coi brando, Facea Rinaldo e il paladino Orlando.
42
Se di un tal prete janni o pur di Creso Fosse stato l'erario a me dischiuso, Affinch'avesse a mio bell'agio preso La somma, che volea per farne ogni uso, Rimasto non sarei tanto sorpreso, Ammirativo, e'dal piacer confuso, Come pel foglio tuo giunto improviso Che pare scritto dal pastor di Anfriso.
43
Chi mai negar potrìa, di Elicona
Tti non sei nato nella spiaggia amena, Ch'educasse poi Clio la tua persona Affinchè fosse di virtù ripiena, Che a te comparta il figlio di Latona Oggi nettare, e ambrosia a pranzo e a cena, Per cui non hai difficoltà veruna Di spiegar le domande ad una ad una:
44
Deh non dir più ch'io sia sagace e savio Qual Polibio, Strabone e Tito Livio, Che di Pompeo, di Cesare e di Ottavio, Scrisse cose per noi degne di archivio; Che soffro nella mente un tale agravio Ce non distinguo il piano dal declivio, E se dal Ciel non ho benigno effluvio Scrivo, e fo di spropositi un diluvio.
45
Tu puoi parlar dei caso di Geldippe, Ed io sol dei pastor, Paolo, e Giuseppe; Tu bevi in Ippocrene e in Aganippe; Di un torrente per me l'acqua è gileppe; Tu gli occhi di argo, ed io le luci ho lippe, Che a me propizio il fato esser non seppe, Tu l'ali al piede, ed io le gambe ho zoppe Tu cammini nel piano, io fra le toppe.
46
Tu la fortuna hai presa per il crine, Che trovi ovunque vai le strade piane; Perchè apprendesti le Febee dottrine Vinto si rende a te Marsia e il Dio Pane; Con parole magnifiche, e divine Tutte spiegar ben sai le cose arcane; Hai nella bocca il mele, onde è ragione Pareggiarti a Demostene, e a Platone.

47
Tu sei loquace come un dì Mercurio, Che in vero, hai nella testa un dizionario; lo timido mi ascondo in un tugurio, Che non sò neppur leggere un lunario; Tu di Marcello, di Camillo Furio, Sai l'istoria ridir di Silla e Mario; Ed io se non mi dà Febo ojutorio Neppur lo stato mio sò far notorio.
48
Tu quale Alcide vincitor dei mostri Col metro ammutir fai quanti poetastri Sono al presente nei paesi nostri, Che in far versi pretendono esser mastri; Tu perizia nell'arte aver dimostri; Ch'hai tutti i numi in tuo favore, e gli astri; Tu sei di Apollo un dei miglior ministri. Per cui non temi mai casi sinistri.
49
Ai vati tu qual dittator dai legge Con detti arguti, e con parole sagge, Ed io non sò che pascolare il gregge Per questi colli, e queste erbose piagge; Tu sei ben degno star nell'alte Regge, Ed io per queste parti erme e selvagge; Tu plachi l'ira di un leon che rugge, Ed io se parlo anche il mio bracco fugge.
50
Spero ben tosto che in ottava rima Scriva la penna tua qualche Poema, Che un vate qual sei tu di somma stima Sai ben trattare qualsivoglia tema, Spero, che poi mandar vogli la prima Copia dell'opra a i?ne, che nell'estrema Parte dei mondo, cori ai?dente brama Farò che ti conosca ognun per fama.
51
Quei tali allor, che scrivono sonetti Terzine, ottave, e rustici strambotti In Piedelpoggio, e neglì altri paesetti, Nell'Albaneto ove vi son gran dotti, Quando vedranno i scritti tuoi perfetti A bocca aperta come i passerotti Restar dovranno vergognosi, e afflitti Costretti a gettar via i lor manoscritti.
52
Prosegui adunque, amico mio cordiale, A fregiar di magnifiche parole Le carte, qual Propersio e Giovenale; Che chiaro diverrai qual vivo Sole; E come ancor del piccolo canale L'acqua il mar tra li fiumi accoglier suole, Lo stesso accogli tu quest'opra vile Fra li tuoi scritti di Apollineo stile.
53
lo con gli amici, e miei compagni amati Riduplichiamo a te caldi saluti; Quanti sull'etra son giri stellati, Quante le piante, e quanti sono i bruti, Quante foglie nel bosco, e fior nei prati, Augei nell'aria, e i mar guizzanti muti; Senza che il nome di ciascuno io noti Siamo tutti di te servi devoti.
54
Ti prego salutarmi a mano a mano Domenico, Francesco, ed Agostino, Gerolamo, Lorenzo, e Giuliano, Pietro, Giuseppe, Paolo, e Bernardino, Onofrio, Carlo, Giacomo, e Gaetano, Felice, Benedetto, e Valentino, Isidoro, Giovanni, ad uno ad uno; E gli altri ancor senza lasciar nessuno.

55
Se il vergaro col buttero, e i sogliardi Nel fine salutar non ti ricordi, Nel numero ti metto dei codardi, Ma forse in tempo la tua lira accordi Amico, veggo ormai, che sì fa tardi, Restiamo adunque di voler concordi, Rispondi ora che sei negli anni verdi, Che un'amico sincer più non lo perdi.
56
Coi fin dì questo dì senza intervallo Il foglio chiude, e vi pone il sigillo, All'amico l'invia, che senza fallo Lo schiude, e legge placido e tranquillo; Osserva, che non già somiglia un gallo L'oca stridente, o pur campestre grillo, Ma che sembra l'amico a questo e a quello, Cigno canoro, ed un Orfeo novello.
57
Questa, che opra gli par del Sanazzaro Và rileggendo tutto il giorno intero, Lo legge ancor l'amico suo più caro, Benchè sà di poesia, zero via zero; Và in mano in l'in del buttero, e vergaro, Ch'è l'uno, e l'altro un critico severo, E si odono, raccolti in concistoro Con questi detti ragionar fra loro.
58
L'opera, in ver, mi par bella non troppo, Non biasimo l'autor neppur lo frappo, Benchè sul Pegasèo và di galoppo, In queste ottave in molti error lo chiappo, Più di una rima falsa, e verso zoppo Si trova in esso, e pur vò fare il vappo; Ma chi non è dell'Apollineo ceppo Meglio che se ne stesse sotto un greppo.
59
Son duri questi versi tutti quanti, Che sembrano tirati con i denti, Vi sono punti, e virgole mancanti, Gli ammirativi, e i necessari accenti, Fra le vocali, e fra le consonanti Vi mancano gli apostrofi occorrenti, Non veggo le parentesi, i due punti E son malamente i termini congiunti.
60
Non credo già di criticar t'autore Dicendo, che non ha forza nel dire, Rozzo, e basso ha lo stil senza vigore, Debole ingegno, e non mi par mentire; Se privo è del poetico furore Non può i cenni di Apolline adempire, E se non ha fantastico pensiere Io lo consiglierei cambiar mestiere.
61
Risponde a tal censura un uoni senile, Che gli Aristarchi perdonar non suole: E ver ch'egli non ha facondo stile, E nè per figlio si terrà del Sole, Ma dimostra d'aver un cor virile Nel far sentire il suon di sue parole; Degno è di lode assai più di ?quel tale, Che a cicalare, e non ad altro vale.
62
Sapete ancor che di Leonessa nelle Abitate da noi diverse Ville Fanno il canto sentir sino alle stelle 1 vati in celebrar, Licori e Fille; Ma un sol che sappia scriver quattro belle Ottave, non esiste in mezzo a mille, Or questi, che compor varie ne volle Perchè chiamar col titolo di folle?

63
L'uomo prudente, e qual Platon sagace, Che a lodar la virtù ben si assuefece, Un novello scrittore, e mal capace, Che per diletto un'operetta fece, Questa quantunque poco, e nulla piace Moda l'Autor di criticarlo in vece; Acciò prenda coraggio, e un più felice Esito egli abbia per l'Ascrea Pendice.
64
Si accheta in ascoltar del vecchio il detto,
Il critico sebben crede esser dotto:
Ode di gioja il cor brillar nel petto
Lo studente Pastor di lui patriotto:
Ed io, che udendo il ver prendo diletto
Ho deciso di lor non far più motto
Sospendo adunque il verseggiar, Son patto
Tornar dimani, e dir cose di fatto.

Fine del Canto terzo.