CANTO SECONDO
ARGOMENTO
Il marito alla moglie, alla sua Nice Scrive l'amante, che di amor
si sface, L'una e l'altra risponde, e il tutto dice Intorno al viver
suo, come a Dio piace; Quanto succede alla natia pendice V'è
chi racconta tutto e nulla tace, Ogni amante, che ciò scotta
e coce, S'infuria, e l'un con l'altro alza la voce.
STANZA PRIMA
Sù gli aridi finocchi ove ha già spasa Doppia pelle,
il pastor dorme e riposa, E con la mente di pensieri invasa Sogna
la prole sua, sogna la sposa; Si desta, e pensa serio alla sua casa,
Che lasciolla del tutto bisognosa, E quest'è quel che il cor
gli affligge in guisa, Che pargli aver dal sen l'alma divisa.
2
,Mentre di ciò tra sè mesto si lagna La penna in carta
di adoperar s'ingegna, Scrive, e manda più lettere in montagna
All'amata di lui consorte degna; Dicendo: mia carissima compagna,
Ci è ben da far, prima che il tempo, Ch'io consolar ti possa,
onde bìsogna Far lungo il collo a par della cicogna.
3
Dar notizia di me ti posso intanto; Sino al presente di bene mi sento
Solo mercè del Nume unico e santo, Che adorno fè di
stelle il firmamento; Ma rivolgendo il piè per ogni canto Passo
li giorni miei, fra pena e stento, E quel che più mi rende
il cor consunto, La nostra dura lontananza appunto.
4
Se vuoi disacerbar, diletta sposa Quella pena crudel ch'ho in petto
chiusa, Alla lettera mia rispondi in prosa Senza punto indugiar conforme
si usa, Dammi nuova di te se qualche cosa Ti occorre mai, non dei
restar confusa, Al tuo consorte il tuo voler palesa, Che non guarda
per te veruna spesa.
5
Rispetta i cenni miei, vivi lontana Dai Proci, qual Penelope in persona
Guardati conversar con gente strana Ancorchè avesse in mano
la corona, Per la casa propensa, ai figli umana Mostrati ognor, qual
madre ottima e buona, Vivi i giorni così di gioja piena Di
me non ti pigliar veruna pena.
6
Dei saluti dei prete ti ringrazio, Meglio sarìa non me ne dessi
indizio, Non ci parlar neppur per breve spazio Che potrebbe recarti
un pregiudizio; li prete, moglie mia lo scrive Orazio Dice addrizzar
gli affari a Caio, a Tizio; Va nelle case altruì quando stà
in ozio Per addrizzare il proprio suo negozio.
7
Non ci devi pigliar mai confidenza Che si farebbe subito paranza,
Si potrebbe scordar di usar prudenza E commetter con te qualche mancanza,
Dunque parlar con luì devi far senza Stattene con i figli entro
la stanza, Con questa gente che cerca la lonza Non esser moglie mia
tanto bigonza.
8
Questa lettura scritta in chiara frase Per man del vettural manda
al paese, Com'è solito suo và per le case Costui, sia
Paolantonio, o sia Borghese, Le donne essendo di miserie invase Ben
di rado in saccoccia hanno un tornese, Per il porto pagar quasi confuse,
Di dar quattr'uova al vettural son'use.
9
Al vecchio letterato, e quella, e questa Per far leggere la lettera
si accosta Per sentir tutto ciò che manifesta Dall'assente
marito ogni proposta; Udito il tutto senz' indugio appresta Grata,
sempre noti già, la sua risposta Che I' istesso lettor di computista
Si serve, e così scrive ad essa in vista.
10
Mio consorte carissimo, salute, Creder noti puoi quanto mi siano grate
Le tue notizie scritte a me venute In sentir che sei pien di sanitate,
Mi spiace sol che qui per le tenute Soffri pene, ed angustie inusitate;
Ma speriamo nel Ciel, queste inaudite Tue sofferenze un dì
veder finite.
11
Coi figli insieme anch' io vivo contenta, Mercè l'alta Bontà
Divina e Santa, Solo il continuo freddo mi tormenta, Che di neve ogni
colle ancor si ammanta; A germogliar comincia la sementa; li porchetto
pesò libre quaranta, La pecora ha figliato, io sono incinta
Sol per opera tua, che non son finta.
12
Devi saper di più che la provista Del grano, altri due mesi
non mi basta, Se un'altro rubbio o due non se ne acquista Non avrò
certo con che far la pasta; Ho terminato il farro, e ciò mi
attrista, Son di lenticchie ancor priva rimasta, Li figli senza scarpe,
io sono vesta, E l'esattor sovente mi molesta.
13
Dunque marito mio sia tua la cura Di provveder la tua famiglia cara,
Intanto io ti saluto, e son sicura Che non avrai per me la voglia
avara, Ti salutano i figli, e con premura La tua Benedizion chieggono
a gara E ti saluta il buon curato ancora; Addio, che altro da dir
noti ho per ora.
14
Firmato e chiuso, il foglio arriva in breve Del suo marito in man,
che vive altrove, Con immenso piacer lui lo riceve In ascoltar di
lei le buone nove, Ma rivelando poi ciò che far deve, Di quà,
di là, più volte il capo move, E pensieroso và
per quelle rive Finchè di novo alla stia moglie scrive.
15
Per adempiere ogni di lei domanda La borsa in mano ora convien che
prenda, Sarde, alici, merluzzo ad essa manda Affinchè possa
far pranzo e merenda; Le invia denari, e in un le raccomanda, Ch'economicamente
se li spenda, E che stia tutte l'or lieta, e gioconda Coi figli insieme
nella patria sponda.
16
Scrive l'amante alla sua bella Nice, Che lontano da lei non trova
pace, Mio sol, mio bene, idolo mio le dice, Ho per te nel mio petto
una fornace; Solo vicino a te sareì felice. Solo la tua beltà
mi alletta e piace, Fra le tenebre tu sei la mia luce, Fra le tempeste
la stella Polluce.
17
Fra l'altre cose di tener lontano Mi raccomando, ciascun tabacchino,
Ed al curato non baciar la mano Se qualche volta ti passa vicino,
Perchè potrebbe con atto profano Tentar di tirar l'acqua al
suo molino, Che presso chi possiede un volto ameno Non seppe mai tener
le mani a freno.
18
A te volgo tutt'or pensiero e mente, Cara dovunque il dì volgo
le piante, Ho in bocca il nome tuo continuamente Con te parmi parlare
ad ogni istante, Te solo adoro con amore ardente Benchè dagli
occhi tuoi vivo distante, A te, ch'hai nella fronte ognor dipinte
Le stelle, io mai dirò parole finte.
19
Perciò se mi ami con eguale ardore, Se ti serbi fedel com'è
dovere, Quanto ritorno di due cori un core Faremo, se consenti al
mio volere, Fugato allor dal petto ogni dolore, Sarà il tuo
come il mio sommo piacere; Ecco edempite, allor si potrà dire,
Le promesse ch'io feci al mio partire.
20
Tanti saluti a te mia cara Fille Quante nel cielo son lucide stelle
Quante un perenne rìo limpide stille Versa, e quante ha l'aprile
erbe novelle; Altrettanti alla madre, ed altri mille Alle tue, poi
ne invio degne sorelle, Altro non ho da dir, sull'erba molle Attendo
il tuo riscontro a piè di un colle.
21
Così termina il foglio, e lo sigilla Dirigendolo occulto alla
sua bella, Lo riceve colei, si fa tranquilla In ascoltar dell'idol
suo *novella; Per la risposta far, poi per la villa (Perchè
scriver non sà la poverella) Cerca, e ritrova al fine altra
fanciulla, Che per lei scriva senz'altrui dir nulla.
22
Questa per altro non essendo dotta Scrive, e fa quel che può
la poveretta, L'altra ch'è dall'amor lessata e cotta Benchè
men saggia i termini le detta; Ma prima, che sia al termine condotta
La lettera è da lor più volte letta, E affinchè
possa comparir ben fatta Colei che scrive, queste frasi adatta.
23
Unico mio conforto, amor, mia vita, lo restar non potea più
consolata Della persona tua, la nova udita Nella lettera scritta a
me mandata; Provo nel petto ancor gioja infinita, Che da te sono fedelmente
amata, Onde voglio sperar, che il mio pianeta Giunger mi faccia alla
desiata meta.
24
Se pur le carte tue diranno il vero Contro la sorte mia più
non m'adiro, S'è ver, che sei nel favellar sincero lo per te
solo ebra di amor sospiro, Se a me a rivolto ognor tieni il pensiero
lo per dovere, altro amator non miro, Se adempi la promessa o mio
tesoro Questo mio cor non cerca altro ristoro.
25
Intanto io penso a quanto far conviene, E ti mando saluti senza fine
Quante son nel mar minute arene Per quante hanno le rose acute spine,
Gli occhi non volger mai, se mi vuoi bene A vagheggiare un'altro biondo
crine, Mio caro, addio, rispondi al mio sermone Pizia sempre sarò,
se sei Damone.
26
Quando cotesta lettera l'amante Riceve, e che di lei notizia sente
Sol per virtù di amor nel suo sembiante Il color divien qual
foco ardente; Legge, e rilegge il foglio ed ogni istante, Che gli
sembra l'amata aver presente, L'amico appella, e con giuliva fronte
Tutto gli fa sentir vicino al fonte.
27
li compagno ch'anch'esso arde di amore
Lo sta ben volentieri ad ascoltare,
Come se il gran Demostene oratore
Fatto avesse in quel foglio un'esemplare,
0 pur di Manto il celebre cantore
Si fosse compiaciuto ivi versare
La sua fecondia in versi, ed il sapere,
Per averne il lettor sommo piacere.
28
Cotesti amanti con le luci basse Di amor le pene fan sovente espresse,
Come appunto, pur non si trovasse Un'altra Diva in quelle parti istesse;
Quelle, al contrario, a cui se capitasse Un'altro amante, che più
beni avesse Si scordano di loro, ancorchè fosse Quell'altro
eguale all'infernal Minosse.
29
Queste belle di cui parlo e ragiono, Quando gli amanti lor vanno lontano,
In vece di astenersi quante sono Guardano in volto ogni altro amante
strano; Pongono il vero e fido in abbandono, Con chi neppur conoscono,
pian piano Prendono a conversar, che poco meno Non si fanno palpar
le poppe ín seno.
30
Non solo queste, ma mille altre cose, Che l'inverno succedono al paese;
Quelli che vanno a ritrovar le spose Nel carnevale per un mezzo mese,
Quando tornano giù con chiare prose Il tutto alli pastor fanno
palese, Ciò ch'hanno inteso, e visto per le case Senza lasciare
indietro alcuna frase,
31
V'è chi dice: la sù, le giovinette, Benchè tener
si vogliono per dotte Invece di mostrarsi rìtrosette Vanno
appresso agli amanti, giorno e notte, E da lor ben sovente si permette
Di farsi maneggiar come merlotte, Che a dir la verità son quasi
tutte Senz'alcun freno in oggi belle brutte.
32
Or che trovansi sole in quelle bande Invece far di casa le faccende,
A far calze, calzoni, a far mutande, A tessere, a filar, nessun attende;
Nella casa di un tal ch'è bella grande Si riducono a far balli
e merende; E così tutto il dì prime e seconde Sol pensano
a passar l'ore gioconde.
33
Quando fa freddo assai, giovani e vecchie
Coi fusi, li vertecchi, e le conocchie,
Stanno d'intorno al focolar, parecchie,
Che invece di filar mangiano nocchie,
E tutte quante aperte hanno l'orecchie
Mentre un'altra racconta le pastocchie,
Fanno un chiasso talor, che nelle macchie
Vi sembra udir gracchiar mille cornacchie,
34
Favole varie e indovinelli ancora Ho inteso io stesso raccontare a
gara, Dalla bocca talor buttano fuora Cose che neppur Belzebù
l'impara, Senza ciarlar non ponno stare un'ora, Si ode lungi tre miglia
la cagnara, E perchè ognuna maritarsi spera Parlano sol di
amor, mattina e sera.
35
Una dice: il mio ben non mi fa torto Al suo tornar mi sposerà
di certo, L'altra: l'amor di pria più non gli porto Che per
un gabbamondo l'ho scoperto; Questa: abbandono il mio ch'è
mezzo storto, Che mi maltratta senza alcun demerto, Quella: perchè
è un bugiardo il mio lo scarto, E se non basta il terzo, trovo,
il quarto.
36
Colei, che a Flora per beltà somiglia, Che tutti disprezzar
pare che voglia Dice: colui che viene a sciolta briglia, Che farsi
amante sol di me si invoglia, Se denari non ha, mal si consiglia,
Ch'io lo respingo fuor della mia soglia, Chi capital non ha, che al
mio si agguaglia Di volermi sposar certo la sbaglia.
37
Risponde poi, benchè brutta non poco Un'altra, e dice se l'amante
antico Smorzasse mai per me di amore il foco, Credete pur non me n'importa
un fico, Più di un'altro per me non trova loco Se un cenno
io fò, se una parola dico; Ma col filo legar, nè con
lo spaco. lo mi farò giammai, che me ne caco.
38
Così ciascuna cicalar non cessa Mormorando di voi, li giorni
passa; Spesso non sò perchè varino a Leonessa, E non
tengono mai la testa bassa; Se a caso un conoscente a lor si appressa,
Sebbene hanno da far, tutto si lassa, Vanno dall'oste, e la pigliano
gi?ossa, E questo par tr, che digerir non possa.
39
Talvolta insieme con le maritate Van per Leonessa, e voi noi crederete,
Ora con un secolare, or con un frate Si fermano parlando, or con un
prete Or vanno dalle monache velate, Ed ora in altre parti più
segrete, Per questo alle lor case, benchè astute Di ritornar
di notte io l'ho vedute.
40
Per l'usanza che v'è non poco strana,
Pria che spunti l'Aurora matutina
Deve annunziare il dì con la campana
Quella, che per santese si destina,
Ciò deve far più d'una settimana
Alzandosi a buon'ora ogni mattina.
Ma questa cosa, al dir di ogni persona
Per le donne non fu mai troppo buona
41
Quell'alzarsi da letto pria del giorno, E quindi uscir di casa essendo
inverno, Che volgendo talora il guardo intorno, 0 grandinare, o nevicar
discerno, E pria, che facci in sua magion ritorno A lei turbar potria
l'animo interno, Cattivo incontro fra l'orror notturno, Da far sentir
gli strilli anche a Saturno.
42
Si è talvolta fra noi la voce intesa,
E la gente ne è pur ben persuasa,
Che per la porta interna della chiesa
Và la santese dei curato in casa;
Dir non saprei, se Brigida, o Teresa
Fosse per lui di amor lascivo invasa,
0 ci andasse per far qualch'altra cosa,
Ma quell'ora mi par pericolosa.
43
E sai cosa soffrir neppur si puote? Che le ragazze le mezze giornate
Passano in casa di quel sacerdote Forse per esser bene ammaestrate;
lo s'avessi una figlia, una nepote, Dar le vorrei per bio due bastonate,
0 pur due calci dove voi sapete, S'un giorno andasse in casa di quel
prete.
44
Sapete, che il curato non è vecchio, Stando delle ragazze in
mezzo al crocchto, Che ciascuna al suo dir apre l'orecchio, Ei guarda
questa e quella, e chiude un'occhio; Avendo anch'esso un fuso, ed
un vertecchio Potria tentar di filare un nocchio; La donna è
frale, e se di amore il ticchio Incomincia a sentir, vuole il cavicchio.
45
Una volta una donna maritata Andata per pagar la consueta Decima,
e dal curato ricercata Venne, nel prestargli la moneta; Ella esssendo
una femmina onorata, Qual fù Susanna un giorno, e Anasareta.
Lascia il denaro, e parte risoluta Per quell'istessa via, ch'era venuta.
46
In qual villaggio il fatto sia succcesso, Ed in qual tempo riferir
non posso, Ogni prete si voi che sia lo stesso Essendo come noi, di
carne e di osso; Nell'algente stagion che siamo adesso Vanno alle
donne quei falcacci addosso Che non v'è chi di noi gli arresti
il pa 0 gli acciacchi la testa con sasso.
47
Ma rispondere a me potrìano tosto Gli amici, e dir: che caso
strano è questo, Ogni fragil mortal è sottoposto A commetter
dei falli o tardi o presto, Che David volesse ad ogni costo Posseder
Bersabèa v'è manifesto, E pure in quel di allor tempo
vetusto Parea che non vi fosse un uom più giusto.
48
Oltre di ciò saper dovete ancora, Che il nostro buon curato
qualche sera, Và in casa di Giovanna o di Leonora Allor che
l'aria è tenebrosa e nera, Se trattiensi con esse più
di un'ora 2 segno tal che qualche cosa spera; Non dico ch'abbia un'amorosa
arsura, Ma la cosa non è troppo sicura.
49
Senti, s'io lo trovassi in casa mia A ragionar con la mia vaga Dea,
La fine avrìa da far, cotesta Arpia Che Polifemo fè
per Galatea, Gittar dalla fenestra lo vorrìa Affinchè
stabilisse entro l'idea Di andar in Chiesa sol, da casa sua, Qual
marinar che và da poppa a prua.
50
Se la necessità volesse mai Di notte tempo chiamar costui,
Che un ammalato negli estremi guai Bisogno avesse degli uffici sui;
Esso non viene, o pur ritarda assai Come chi nulla cura il male altrui,
Perciò trova talor, che in cinque o sei Cantano al morto il
Miserere mei.
51
Se di giorno lo vuoi, difficilmente Lo trovi in casa sua, chiamando
amante Di ogni tempo in Leonessa andar sovente, Ed alla cura sua voltar
le piante; A visitar l'amico ed il parente Và in altra villa
a noi poco distante, Che sol per suo piacer le gambe ha pronte Non
per bagnar di sudor la fronte.
52
Nel far alle ragazze la dottrina, Serio con questi termini ragiona:
Ci vorrebbe per voi la disciplina Che siete di una razza poco buona;
E l'estate per voi sera e mattina Da' vosti amanti ora si canta or
suona E ciascuna di voi tiene lontana Dal bene oprar cotesta turba
insana.
53
S'io li voglio riprendere talvolta L'uno e l'altro si adira, e in
aria salta, Questo la voce mia neppure ascolta, Quello mi ingiuria,
e per la via mi assalta; Manco se avesse la lor Diva tolta E via portata
all'Isola di Malta; Ma l'azione però di chi m'insulta Sempre
terrò nella mia mente sculta.
54
Ora che i vostri innamorati sono
Per otto mesi e più da voi lontano,
Chi brama aver dei suo fallir perdono,
Ch'io la confessi, e poi gli alzi la mano Deve lasciar l'amante in
abbandono Allor che tornerà dal suol Romano;
Se a voi riveggo poi qualcun vicino lo vi farò provar crudel
destino.
55
Chi di prender marito ha desiderio,
Dì far l'amor non è necessario,
Perder tempo con chi non ha criterio,
Che fè vi giura: e poi si prende svario;
Chi ha buona volontà, parla sul serio
Al genitore che non è contrario,
Combinar tutto con felice augurio
Potreste in breve, ed io più non v'ingiurio.
V'è qualcuna fra voi dolente e mesta Lo vedete voi stesse,
e non vi basta, Molti anni volle amoreggiar cotesta, Che parea avesse
già le mani in pasta, Ma la di lei sventura è manifesta;
Di quanti amanti avea priva è rimasta, E la pena maggior che
la contrista, Che più nessuna a lei volge la vista.
57 Nel sentir dei curato le proposte Coi rimproveri acerbi, quelle
e queste, Di far ciò ch'egli vol son già disposte, Si
fanno più di pria veder modeste, Più non pensano a farvi
le risposte, Si vanno a confessar tutte le feste, E tutte in guisa
tal fanno le caste, Meglio sarìa per voi che le lasciaste.
58
Pare che più non cerchino marito Parlano tutto il giorno col
curato; Pare che più non abbiano il prurito, Ch'hanno tutto
l'estate indiavolato; Pare ch'abbiano tutte il cor contrito Per gli
errori commessi nel passato, Dì zelo e castità fatto
hanno il voto; Quest'è tutto quel ch'io posso far noto.
59
Quasi statue di sale a' tuoi racconti Restano tutti i pastorelli amanti;
Quelle inique con noi faranno i conti: Vanno fra lor dicendo tutti
quanti; Rìceverà da noi cattivi affronti Il curato,
se a noi viene davanti, Se ci riprende con rnordaci accenti Gli sapremo
per bio mostrare i denti.
60
Ve n'è qualcun che scoraggito in parte Sebben promise amar
sino alla morte, Cessa per la sua Dea vergar le carte, Nè cura
averla più per sua consorte; Più non ricerca il vettural
se parte, Nè quando torna alle latine porte, Che per le udite
già notizie certe, Ad altre cose il suo pensier converte.
Fine, del Canto secondo.