I MENATORI PLACATI
OTTAVE INCATENATE


POEMETTO


STANZA PRIMA

1

Giacchè per medicar le mie disgrazie, Trovar non posso l'occorrenti spezie, Invoco Apollo per alcune grazie; Colle mie voglie di cantar mai sazie, Non già pretendo raccontar facezie, Ma per dir cose vere i versi aduno, Che legger si potranno ad uno ad uno.
2
Più volte ho domandato a qualcheduno, Cosa si fà nel patrio mio terreno, Campa di quel che mangia ciascheduno, Mi fù risposto con parlare ameno, Se ritorni lassù Dio salvi ognuno, Perchè talvolta hai scritto senza freno, Che ti vonno menar, diversi sono, lo ti parlo sincer, non ti canzono.
3
Penso fra me di queste voci al suono, Menar mi vonno? e dove io non cammino; Per far diverse miglia sarei buono, Quando dovessi andar sopra un ronzino; E pur con qualche amico andar mi sprono, Persuaso, ch'andar debba vicino, Mentre mi sento un desiderio ardente, Della mia patria, riveder la gente.

4
Se del natìo villaggìo, un conoscente Mi volesse menar verso la fonte, Sò ch'ebbi sin'ad or le gambe lente, Mostrerei per andar le voglie pronte; Per trovarmi per poco almen presente A varie donne, che con lieta fronte Stanno tutte ad aspettar l'ora, che tocca Empir d'acqua la conca o pur la brocca.
5
Se mi mena qualcun verso la Rocca, Restio non son benchè la gamba ho fiacca, Per trovarmi vicino, allor che imbocca La giovenca nel bosco o pur la vacca; 0 per vederla ancora aprir la bocca, Quando il bifolco scioglie e quando attacca, E pascolar nel monte e per la valle, Insieme: capre, pecore e cavalle.
6
Mi volesse qualcun per dritto calle Menar, dove le pizze e le ciambelle, Si sogliono infornar sovente, dalle Femmine anziane e giovanette belle, Alla mia diva volgerei le spalle Benchè di notte, per andar da quelle, Almeno, ancorchè stessi sulla porta, Qualche pezzo sperar, potrei di torta.
7
Se mi mena Sempronio, o pur mi porta Da Piedelpoggio in Albaneto, all'erta Starei bensì, perchè di mente storta Vi conosco qualcun, per cosa certa, Pur volentier ci vado, essendo corta La via per cui si và, benchè deserta, Almeno potrei dir, che di passaggio, Sono stato una volta in quel villaggio.

8
Farei fra l'altre cose umile omaggio Al parroco che và com'un orologgio, Per rivedere Antonio, e Livio il saggio, Cui fanno in verseggiar, le muse appoggio, Costui potrebbe senza farmi oltraggio, Menarmi di Santelli al proprio alloggio, C'io gli farei saper ch'ad ogni costo, In sua grazia tornar, sarei disposto.

9
Se in Vallempuni a San Clemente accosto, Mi menasse qualcuno io ci avrei gusto, Non sol per riveder Valerio il tosto, Che scrivendo mai fece un verso giusto, Giovanni cercherei, che dopo agosto, Nell'anno avanti d'un crudel trambusto, Fù la cagion della grati sassajola, Per fargli sù di ciò qualche parola.
10
Agli occhi miei costui noti già s'invola, Anzi nel ravvisar la mia loquela, Forse mi prenderà per una sola Mano, e la stringerà pien di cautela; E qual si porta un fanciullino a scuola, Se in San Clemente di menarmi anela, lo seco lieto andrei per dritto varco, Per fin che giungerò de' Cecì all'arco.
11
Se dianzi dissi che di vin ben carco Quì Valerio trovai per terra corco, Or ne provo acerbissimo rammarco Sol per aver parlato alquanto sporco; Per cui lungi da me, Zoilo, Aristarco, Vadi ciascun dei due con Momo all'arco, Mentre fa d'uopo di parlar sul serio, Dovendo rifar pace con Valerio
12


Rinvenuto cotesto, il desiderio Spero non abbia al mio voler contrario, Ch' io lo stimai tuttor pien di criterio, Qual nella prisca età fu Silla e ?Mario Ala se detesta il suon del mio Salterio, Onde vadi da me lungi lo svario, Mi fà pensar che seco a lungo passo, Menar mi voglia per la villa a spasso.
13
Non nuovo mica il piè coi capo basso, Che rintracciare Andrea voglio se posso, Qual fù tra i vati un dì Ovidio e Tasso, Tale egli è tra i vergari un pezzo grosso; Lo scrissi nel mio libro e noti lo scasso, S'anche fosse da un Ercole percorso, E se talor sulla di lui persona Scherzai coi versi, i versi mie perdona.
14
Come di mascalcia parla, ragiona Dei cavar sangue dall'arteria vena, Come all'egra salute appresta e dona 1 sintomi del mal, compresi appena ; Per parlar d'Ippocrene e di Elicona, Forse in sua casa mi conduce e mena, Essendo anch'esso delle muse amante, Che spesso scriva sullo stil di Dante.
15
Se avverrà mai ch'agli occhi miei d'innante, Si facci il suo minor german presente, Del suo dovere osservator costante, Vigile, accorto, e parlator prudente Prima ch'io densi a rivolger le piante, In altra parte a rintracciar Clemente lo son sicuro che mi meni in casa Di quel saggio pastor, chierica rasa.

16
Costui d'alto saper la mente ìnvasa, Che assolve tutti li peccati in chiesa, La gente del villaggio è persuasa Che assolva ancora me di qualche offesa; Egli che tutto nel suo punto basa, Che le parole mie bilancia e pesa, Mi dirà perchè scrissi i fatti sui, Ego te absolvo de peccatis tuì.
17
Se quindi preso per la man da lui, Mi menasse diretto. . . . oh eterni Dei, Nella magion di quel vergaro, a cui Più volte consacrai li versi miei; D'ogni contento aver finor non fui All'apice di quei giunger potrei, Poichè da presso al più sincero amico, Se starei volentier non ve lo dico.
18
Qual di Oreste nel seri, nel tempo antico. Fù per Pilade, suo amore il foco, Tale è questi per me, sempre nemico Di chi talor con me si prese giuoco; Se indefesso per lui sudo e fatìco, Per quel che far dovrei mi sembra poco, Ancorchè empissi di acqua con gli orecchi, Quanti al procojo suo, sono i secchi.
19
Scrivere in lode sua prima ch'invecchi, Un volume dovrei sopra ?1 ginocchi, Poichè è degno di andar coi numi vecchi Per la via Lattea sù gli aurati cocchi, Nella di lui magione io con parecchi, La pritria volta ch'io rivolsi gli occhi, Una squisita a noi, merenda offerse, Da far restar di sale anche Artaserse.

20
Se allor ai giunger mio, le porte aperse Della sua casa, e ad incontrarmi corse, Or che le voglie aver non dee dìverse Farà quanto pria tè senza alcun forse, Qual per le rette e per le vie traverse, Di San Clemente allor lieto mi scorse, Spero mi voglia insiem con esso, ancora Menar di quà di là senza dimora.
21
Sarei sicuro di potere allora Giovanni rintracciar prima di sera, Con l'amico Girolamo, che fora Viva fonte per me di gioja vera, Poichè dir gli potrei, quanto sin'ora Da me fù scritto con allegra cera, Pregovi di mandar tutto in oblio, Se vi piace far pago il voler mio.
22
Ma se ambedue contrari al mio desìo
Mi volesse menar qual fosse reo,
Seguir li passi lor non son restio,
Vér l'osteria che un dì fu di Matteo,
Se quì vorranno poi ch'io paghi il fio,
Un mezzo pagherò di umor di Lieo,
Spero di essi senz'altro aver impegno
o Spento il foco veder, di tanto sdegno.
23
Se qualche nero mai fece il disegno Menarmi seco pien di umor maligno, Seguirò l'orme sue senza ritegno, Sperando trovar sempre un cor benigno?, Un Pietro esser potria, garbato e degno, Per cui de' versi vuoterei lo scrigno, Poichè di tratto affabile e gentile, Per magnanimità non ha simile.

24


Angelo Nardi, che da Batro a Tile Non rinvenni sin ora un'altro eguale, Per la sagacità, per l'alto stile Che sorpassa Lemene e Giovenale, Un metro esatto, un fervido e sottile Ingegno, in far li versi al naturale, Pieno di cognizioni, abile, esperto, Di ritrovarlo quì son più che certo.
25
un'ora il capo mio terrei scoperto, Che lo rispetto, e vivo amor gli porto, Dirà fors'egli al genitor di Alberto: La testa, amico, a ricoprir ti esorto; Della sua casa che sia sempre aperto L'uscio per me, per ritrovar conforto, E pien di cortesia, spero che voglia Menarmi per la mano, entro la soglia.
26
La lingua al favellar desìo, che scioglia Quivi con dir: quest'è la mia famiglia, Questo è il mio genitore in cui germoglia Il fior d'ogni virtù, quest'è mia.figlia, Quest'è colei che tutte l'ore m'invoglia A sodisfare quando amor consiglia, Quest'è la prole mia, quest'è il germano Pietro, avveduto e di giudizio sano.
27
Quindi farà vedermi a mano a mano, La biblioteca sua, con volto ameno, Dicendo: ecco Svetonio, ecco Lirano, Ecco Bonsi, Dioscoride e Galeno, Berni, Dante, Ariosto e il Mantovano, Che fecero dal Tevro al mar Tirreno, Sentir con estro tepido e tranquillo, Della tromba poetica lo squillo.

28
Questi sono li versi dei Tanzillo, Dove descrive, di San Pietro il fatto, Quest'è Torquato Tasso, a cuì Camillo Aggiunse i cinque canti, ecco Gargallo, Ed io ch'al chiaro e limpido zampillo, Che sgorgar fece il Pegaseo cavallo, Non mai bagnai la fronte, al sentir solo Parlar di sì bell'opre, il cuor consolo.
29
Del saper di costui, la fama il volo Dal Tebro stende al Pò, dal Tigri al Nilo, Dal Reno al Gange, e dal nordico suolo, Dove mise Giasone, in opra il filo, S'io degli amici suoi, fossi nel ruolo, 0 seco insieme, aver potessi asilo, Angel felice allora, anzi beato, Sarei per sempre, al proprio nome a lato.
30
Di varie cose dopo aver parlato, Fatto estinto il desìo dell'appetito, Sarò con esso a passeggiar menato, Fuor dell'abitazione, prato fiorito; Se al mio desìo non è contrario il fato, Lo scontro aver potrei, dell'erudito Salvator Pitti, ch'un a volta sola, Degno mi fece della sua parola.
31
Son sicrro, che costui mi consola Cori facondo parlar, che non adula Come qualcun che vuoi con la sua fola, Far comparire un'asina per mula, Additar mi farò quella figliuola, Di cui l'orme egli segue, e non rincula, Detto mi vien, che si sia messo in testa Non ammogliarsi, se non prende questa.

32
Questo creder mi fà, che sia modesta, Piena d'ogni virtù, di ottima pasta, Ma se il fato vorrà che sìa di festa, Conoscer questa sola a me non basta; Quando meco col piè talor s'arresta, Per quella via che più dell'altre è vasta, Indicar mi farò le giovanette, Quali un giorno chiamai le ninfe sette.
33
Poichè mi sento dir che le suddette, Sono graziose, affabili e benfatte, Grate son, nel parlar pulite e nette, Piene di attività, dei tutto esatte; Benchè alcune di lor, legate e strette, Presso il Nume Imeneo di già son tratte, Vorrei fermo sperar, che la fortuna, Mi facesse parlar con qualcheduna.
34
Persuader vorrei tutte, ad una ad una, Ch'entro la mente mia del tutto sana, La maldicenza rea, nò, non s'aduna, Che da me si detesta e si allontana; Lingua mormoratrice ed importuna, Mi trasse a ricercar la rima piana, Temprar la penna, scriver poi soltanto, Ciò che suggerir solea di tanto in tanto.
35
Ma se pur belle son, ch'a Rodamanto Depor farìano l'ira in un momento, Potrò star ben sicuro ad esse accanto, Senza temer giammai contrario evento, Mentre chi ha bello il volto, ha altretanto Bello nel seno il cor, conforme io sento, Facili a perdonar, per cui di scusa Degna, fatta sarà l'egra mia musa.
36
Se in questo caso, perdonar non si usa Da queste, ancorchè belle, alcuna offesa, E che vi sarà pur chi reo mi accusa, Che la rete per me tengano tesa, E mi voglia menar per qualche ottusa Via qualcun, ch'ha per me la mente accesa, lo non rìcuso andar, purchè in un punto Veder mi posso, in colle verde giunto.
37
Solo per rinvenir Mingoli appunto, Amico impareggìabile e distinto, Qual potrebbe ad Apollo esser congiunto, Che tra i Classici omai può dirsi il quinto; Quella per cui nel petto ha il cor consunto, Che porta in fronte il vero sol dipinto, Conoscer mi farà, che di sublime Onor degnolla, fra le donne prime.
38
Ma l'apparenza sua, forse mi esprime, Ch'ella di bell'umor non è quì, come Esser solea, mentre con dolci rime, Gli faceva l'amante elogi a some; Forse ch'un altro amore il cor gli opprime, Poichè di Pietro Zelli inteso il nome, Qual d'Angelo vergaro essendo figlio, Mingoli abbandonar prese consiglio.
39
Ma di un'azione tal mi meraviglio, Non meritava aver questo cordoglio Mingoli, che condurre il suo naviglio Sperava in porto, senz'urtar lo scoglio; Ma rapace falcon, col crudo artiglio, Da Santangelo vien, pieno di orgoglio, A disturbar la sua tranquilla pace, Ch'io non sò come mai sol soffre e tace.

40
Di confortarla almen, sarò capace, Dir gli vorrei: se l'empia traditrice Ha per te spenta l'amorosa face, Forse è per farti più lieto e felice, Or vedi il cuore suo quant'è fallace! Odi ragione. or che ti parla e dice: Che chi non corrisponde un amatore, Non ha presso di sè punto d'onore.
41
Se pria giurò di amarti a tutte l'ore, 0 viceversa di voler morire, Or che tutto in oblìo pone il tuo amore, Punto per questo, non ti dèi pentire; Che s'hai perduto un dispregevol fiore, Una rosa acquistar nel suo fiorire, Certo potrai, che sulle erranti stelle, Sia posta fra le Plejadi sorelle.
42
Avrei piacere ancor, di veder quelle A me dianzi descritte, eguali a Fille, Le due Vincenze, che potrebbe Apelle Per modelli tener, fra mezzo a mille; Maria, Rosa e Vittoria, essendo belle, Con altre che potrìan l'ira di Achille Tosto frenare, e la Maria ch'ho inteso, Che un tal Brunetti peimarito ha preso,
43
Biagio, ch'un tempo fù di amore acceso Per Oliva, or di lei privo è rimaso, Che tanto il cor mostrò di avere offeso, Passa li giorni ancor di doglia invaso, Portossi in Albanetto, e più sorpreso Restò, credendo di ficcare il naso Dentro casa Santelli, ove il divieto Gli propose Pasquale, e tornò inquieto.

44
Potrebbe far come il pastor di Ameto, Che accortosi da Silvia esser tradito, Volge la mente ad Amarilli, e lieto Rende il suo cuor di un altro amor ferito, Un arcano non è un segreto Che saper non si possa, anzi gli addito Ben battuti sentieri, e larghi e vasti, Ciò, per farlo capir, credo che basti.
45
Se in mezzo della piazza, ove rimasti Son talor la notte, a cantar questi, Per far vedere a me movere i tasti D'eburnea lira, si vorrà ch'io resti, Obbedirò per non aver contrasti, Ma se vi sono, al mio restar, molesti Sarò, per evitare ogni questione, Da Mingoli menato in sua magione.


46
Se giungessero quì con pretenzione, Quelli di San Clemente, e senza fine Privi affatto di senno e di ragione, Senza le nove muse aver vicine; Cominciassero a far lunga questione, A gridar forte, a lacerarsi il crine, Perchè questi non sortono, io pian piano, Senz'esser visto, scoprirei l'arcano.


47
Ciò dico, riflettendo al modo strano
In cui poc'anzi, un certo Levantino
Filippo con il cor di Solimano,
Antonio Ceci e un tal Scarapillino,
Citar cori più di un termine profano,
Angelo, con Bernardo ed Agostino, Come se questi tre nel tempo stesso, Fossero rei con lor, di grave eccesso.
48
Più degli altri, Filippo esser represso Merita, poichè lui di tanto chiasso Fu la cagione, che ciascun' oppresso, Brama aver sotto lui nuovo gradasso; Ma degli offesi fu degno il riflesso, Che se dall'alto discendeano al basso, Avriano potuto, pieni d'ira ardente, Fargli portar le capre a San Clemente.
49
Ma meglio fu che non successe niente, Filippo e gli altri, volsero le piante A Colleverde, e dell'amica gente, Lungo la strada, ne diceano tante; Degno d'ammirazioni, atto prudente Fu dei Collevedani in questo istante, Intanto io, per scanzar questo motivo, Albergherò con Mingoli giulivo.
50
Se per farmi restar di vita privo, Qualcuno menar mi vol come mi trovo, Menarmi gli dirò, menarmi vivo In Viesci, dove esser menato approvo; Quì dei padre curato, appena arrivo Cerco la casa, entrato il piè noti movo Fin tanto che non veggo alzar la mano, Per tante volte che parlai profano.
51
Se il caso vuol ch'io mi affatichi invano Per ottener da lui pace e perdono, Da mastro Achille con parlare umano Gli farò dire che pentito io sono; Che in avvenir farò da buon cristiano, Parlando in suo favor mai sempre a tuono. per esser degli uomini la cima, Più che di altri, di lui farò gran stima.

52
Se mastro Achille, ancor per qualche rima Ch'io scrissi sù di lui poc'anzi in Roma, Sordo si mostra alla mia voce prima, Disprezzando il tenor di un chiaro idioma Se guarda fosco e se partir mi intima, Senza riguardo alla canuta chioma Sarò costretto di cercare impegni, Per frenar d'ambedue, l'ira e gli sdegni.
53
Fra li Bucci, che son di gloria degni, V'è Marini, Antonelli e Iacocagni, Cuì comprender farò che i miei disegni Sono di non sentir più tanti lagni, Voglio sperar dell'amicizia i segni Aver da questi e dalli lor compagni, E veder serenar, con piacer molto Di don Ottavio e mastro Achille, il volto.
54
Col furore di Oreste in sen accolto, Se alla fortezza mia danno l'assalto, Per volermi menar, dove rivolto Tenessero il pensier, vado d'un salto; Vorrei, per un boschetto ombroso e folto, Per quella via che và, dal basso in alto, Esser m enato a passi tardi e lenti, Per trovare in San Vito i conoscenti.
55
Sarìano senza fine i miei contenti, Trovarmi tutti li Vettucci avanti. Poichè di rime e di armoniosi accenti Sono diversi, e delle muse amanti; Potrebbero fra questi, esser presenti Fra gli altri amici, un Salvator Morganti, Che mentre al canto la sua lingua move, Fà rimaner di sale, Apollo e Giove.

56
Quì sono amici, che ne ho mille prove, Onde l'animo mio di nulla pave, Anzi molti, se tuona, ovver se piove, Darìano a me di casa lor la chiave; Se volesse qualch'un far varie prove, Di prendere una paglia per un trave, Che volermi menar facesse un atto, Dove menar mi vuoi? gli direi: matto!
57
Gli potrei dir: tu non distingui affatto Vocale e consonante, o poveretto, Nè quale sia la lepre, e quale il gatto; Quale l'agnello sìa, quale il capretto; Qual danno reca il versegiar ch'ho fatto, Per cui dimostri a me torbido aspetto? Da dieci, disprezzar l'opera mia sento, E quelli che la cercano son cento!

58

Lo stil mio chiaro e l'armonioso accento, Le mie perfette rime, il verso pronto, Ogni custode del lanuto armento Ricerca li miei scritti e tien di conto; Veggo in diversi, di aumentar talento Da poter far con Mingoli un confronto, Più d'uno io sò, che nella mia Siringa, Arso di sete, il vero umore attinga.
59
A Amico, il tuo desìo par che ti spinga. Venire addosso a me con una stanga, Ma se menar mi vuoi per via solinga, Teco verrò benchè vi sia la fanga; Omai sia tronca questa nostra arringa, Menami con un maníco di vanga, Ma nò, menami là dove si estolle Santangelo, piantato a piè d'un colle.
60


Di ragazze di età tenera e molle La Villa abbonda, e son legiadre e belle, Giambattista Pasquali un giorno volle Fare la scelta a modo suo fra quelle, Per Caterina il di lui sangue bolle, Degna di collocarsi in fra le stelle, Che se un giorno la cerca e non la trova, Le pene amor nel petto suo rinnova.
61
Per averla in isposa, ad esso giova Il di lei zio, persona ottima e brava, Che forse cerca far più di una prova, Due piccioni pìgliar con una lava, Per lui si adopra, e quì gatta cì cova, Non è più tempo che Berta filava, Conosce ben chi le sue mosse spia, Il suo pensier, la mente sua qual sia.
62
Caro Giovambattista, egli vorrìa Che Caterina omai fosse la tua, Acciò non la prendesse Giammaria, Cui forse vorrìa dar la figlia sua, Ma non farà simil coglioneria, Il Tascone che và da poppa a prua, Nel caso la ragazza a lui si toglie, Ritorna in Piedelpoggio a prender moglie.
63
Per veder chi sarà che il giglio coglie, Fra le rose più candide e vermiglie, Di Tommaso starò presso le soglie Della sua casa ad osservar le figlie; Quali per la beltà che in lor si accoglie, Ponno esser messe fra le meraviglie, ?Se geloso qualcuno a me si scaglia Per ?volermi menar quanto la sbaglia

64
Sospendi di venir meco in battaglia, Che forse il tuo capriccio ti consiglia, Sai che la coda mia non e" di paglia, Non temo il foco, il tuo furore imbriglia! E se menar mi vuoi sopra una traglía, Non ricuso venir per poche miglia, A piedi nò, che traversando il campo, Sarei sicuro di trovare inciampo.
65
Villa Terzone di vedere avvampo, Dove don Ciro fu curato un tempo: Se cori la fuga ritrovò lo scampo, Poco mancò che non facesse in tempo; Col breve spazio che si vede il lampo, Le due ville vorrei, fosse buon tempo Percorrere, trovar quei personaggi, Degni di star nel numero dei saggi.
66
Quell'ottimo arciprete in quei villaggi, Per bontà, per dottrina, unico in oggi, Te Sante Vanni, ancor che trai vantaggi Delle tue cognizioni a cui ti app oggi; E quel Buccioli a cui trasmette i raggi L'astro più bello dai celesti poggi; Cori tutti questi e divers'altri insieme, Per poco tempo ragionar mi preme.
67
Se v'è fra li diversi, alcun che teme Frizzi pungenti aver dalle mie rime, Dir gli potrò, che la mia musa geme Pentita per le sue satire prime; Ed io di quanto scrissi, ho viva speme Trovar perdono, in queste basse ed ime Ville, piantate in mezzo a due montagne, Abitate da ???entieccelse e magne.


68
Se agricoltore, ovvero custode d'agne,
Benchè persone per lo più benigne,
Mi volesser chiamar reo di magagne,
Dimostrando di aver l'idee maligne, Che sulle spalle mie, con due filagne, Facesser quanto fe' marzo alle vigne, Intendo dir, menarmi con asprezza, Senza frappor dimora, in qualch'altezza.
69
Somma per me sarìa la gentilezza, Se risoluto qualcun, con la sua mazza, Ali volesse menar verso Pianezza, Benchè v'è la salita che ti ammazza; Di quel Tuccini Andrea, che in giovinezza Bevea sovente all'apollinea tazza, Per riveder l'affabile presenza, Che son venti anni, che ne vivo senza.
70
Ch'eternamente la mia benevolenza Serbo viva per lui, benchè in distanza, Mentre ogni sua parola è una sentenza, Qual facondo orator, ch'ogni altro avanza, Poichè si parla della stia sapienza Nell'insigne degli Arcadi adunanza, Or benchè giunto nell'età senile, La mente ha fresca come un fior di aprile.
71
Bartolo di cognome a lui simile Sarei poter conoscere geniale, Col giovanetto affabile e gentile, Figlio di Ortenzio di San Giovenale, Che da Pianezza, un tiro di fucile Riman distante, io gli direi: Pasquale, Mi rallegro con te, che amico sei Dell'alme figlie del maggior de' Dei.

72
Che fosse il dì sacro a Maria vorrei, Per qui veder tutti i devoti suoi, Venir cinque per cinque, e sei per sei, Empirsi di ambo i sessi il tempio poi; Per quei prati, veder lieto sarei, Agne, porci, polledri, asini e buoi, Sull'erbetta la gente a far merenda, Che forse questa è la miglior faccenda.
73
Per vari oggetti ognun convien che spenda, Quì trasferiti da lontana banda, Per la moglie, il marito avvien che prenda Qualsiasi frutto che talor dimanda, Pasquale che di amor, par che si accenda, Ch'in aria di ora in or sospìri manda, Sorridendo sott'occhio alla sua vaga, Or li fischi, or le persiche le paga.
74
Chi per trovar la sua ragazza indaga, Che forte amore, il cor gli stringe e lega. Tirsi che cerca medicar la piaga, Gradire un pomo la sua Ninfa prega; E mentre si diverte e si divaga, Per compiacer colei, tutto si impiega, Se a Venere in beltà sembra sorella, Non serve il dir: tutto si fà per ella.
75
Dei vascellaro in questa parte e quella, Nel veder la cocciaglia il cor mi brilla, La mia pentola, il piatto e la scodella A buon prezzo la dò, sovente strilla; li pellicciar di ogni sua bagattella La mostra tiene, e quì l'ago e la spilla, Con altra robba all'altri vista esposta, Vende senza ribasso, a chi si accosta.

76
li compratore, ossia la prima posta
Prende una strenga, quanto vuoi di questa?
Perchè sei tu la dò per quei che costa,
Di tre soli bajocchi è la richiesta;
Il tuo parlar non merita risposta,
Ch'hai troppe pretenzioni per la testa,
Cosa vuoi dar per cinque io ti dò un grosso,
Trova chi te la dà perch'io non posso.
77
Di quel coltello coi manico di osso Quanto ne vuoi? due paoli a prezzo fisso, Di un fazzoletto bianco bordo rosso? Trentacinque bajocchi l'ho prefisso; A tai richiesta il comprator percosso, Risponde: questi son prezzi di abisso! Prendilo se lo vuoi, gli vien risposto, Ch'io non lo posso dar meno del costo.
78
In altra parte, di un arcajo esposto
Tizio osservando de' lavori il misto,
Fattosi ben capir di esser disposto,
Un pajo di schifi procurar l'acquisto,
Quanto vuoi di quel pezzo? e l'altro tosto,
Sette carlini, se ne sei provvisto,
Provvisto sono, ma con il mio danaro,
Un oggetto non compro quando è caro.
79
Quando i prezzi son'alti, è caso raro Trovar chi compra, ed io quel giorno intero Coi detti amici ragionando a paro, Starei ben volentier, vi dico il vero; E comprerei, che non mi credo avaro Coi fallacciani, persico ed un pero, Cocomeri, meloni e qualche vario Frutto, che serve ad aumentar lo svario.

80
Fra quei che a vísitare il Santuario, Vengon da questo e da quei territorio, Vi potrebbe esser qualche mio contrario, Degno d'Inferno, e non di Purgatorio, Che volesse turbare il mio precario Ritorno in patria, a lui fatto notorio, E che con atto barbaro, umano Mi volesse menar verso Chìavano.
81
Per quella parte ti affatichi invano, Non vengo gli direi, che non sconfino, Verso la Sala andiamo pur, che piano Sò ch'è il sentiero, sia breve il cammino; Giunto colà, vorreì poter la i?nano Baciar più volte di don Bernardino, Che mi perdoni poi, se troppo ardito, Son talvolta dai gangheri sortito.
82
Se implacabile fosse e inviperito, Tosto mi si avvicìna, e risoluto Per volermi menare alzasse un'dito, Che indegno di perdon, foss'io creduto, Menarmi gli direi per altro lito, Che per qui rimaner non son venuto, 0 pur farmi menar senza ritegno In Vindoli, ove d'andar feci il disegno.
83
Quivi saprò che due presero impegno, A vicenda cantar senza sparagno, In casa di Checcuccio uom saggio e degno, Qual di Chiara, Imeneo rese compagno; Nardi e Mingoli fu che con ingegno, Per far di due persone il nome magno, L'un dei Barone i pregi, e l'altro il merto Del Vettucci cantò, sindaco esperto.

84
Bernardo quì mi Potrìa fare aperto,
Come il Barone con un punto storto,
Prese fischi per fiaschi, io lo sò certo
Per mezzo di un veridico rapporto;
Disingannarlo dal sospetto incerto
Non fu potuto con parlare accorto,
Poichè voleva oltre le lodi tante, L'intera palma dei famoso Argante.
85
Vari amici, compari in quell'istante,
Volean farlo tornar con lieta fronte,
Vana ogni prova fu, volse le piante
A Vindoli, che giace a piè di un monte,
Mingoli intanto al sindaco spettante, li vanto díè con le sue rime pronte,
Ch'il Nardi essendo divenuto roco, Non potè più cantar, molto nè poco.
86
Mi si dirà come finisce il giuoco, Incamminati per sentiero aprìco, Come fu estinto del Barone il fuoco, Da chì fu sempre della pace amico; Quindi di quà, di là, per ogni loco, Di sù, di giù, per ogni strada e vico Ne andrò, per ben conoscere pian piano, Tuttì queì della costa, e quei del piano.
87
Barbara, ch'ha di molti il cuore in mano, Che avrebbe acceso l'orator di Arpino, Un certo tal, che appellasi Mariano, Innamorò coi volto suo divino; Ma siccome gli sembra alquanto strano, Dice che non lo vuol neppur vicino, Perchè parlando a voi senz'alcun velo, Ha più di un amator di prinio pelo.

88
Luigi Zelli con lo spirito anelo, Da Santangelo quì sen venne a volo, Per vagheggiar la Dea del terzo cielo, Che nella mente sua crede esser solo, E col cuore di foco, ed or di gelo Sfoga con lei di amor l'acerbo duolo, Ma comprender però non puote ancora, Dov'ella al suo pensier drizzi la prora.
89
In Colleverde lei fece dimora
Per qualche tempo, e quì per cosa vera,
Un tal Bernardo Mingoli, tutt'ora
La solèa vagheggiar mattina e sera,
E che l'ama, la venera e l'adora,
Pur troppo è ver, benchè mostrossi altera
Sin dal principio nel parlar con quello,
Ed esso ancor con lei perde il cervello.
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Ritrovandolo quì vorrei bel bello, Rimproverar dei suo commesso fallo, L'ex vergar chiamato Checchetello, Ch'ha perduto la sella. ed il cavallo Se con furor, mentre di lui favello, Si scaglia addosso a me senza intervallo, Gli potrò dir fissando in esso gli occhi, Menarmi ove hanno olloggio i battilocchi.
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Credessi camminar con i ginocchi, Vado in Volciano a ritrovare i vecchi Amici, che non fati mai scarabbocchi, Adoprassero ancor l'inchiostri a secchi, Essendo questi rimatori coi fiocchi, Dilettano l'udito, entro gli orecchi, Per cui con esse ragionando, io penso Colmare il petto di piacere immenso.

92
Antonio sempre di far versi accesso, Legger si vede spesso un libro intonso Camillo, accorto, saggio di buon senso, La facondia dimostra aver di Alfonso; Se non per questi due tutt'or propenso, E vorrei per lodarli esser un Tonso, Non avendo per me l'animo contro, Veduto appena, mi verranno incontro.
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Può darsi il caso di trovar lo scontro,
Di quel paese ricercando il centro,
Di Bernardino che col suo rincontro,
Mi fece andar con le mie rime dentro;
Se mi dicesse poi quando l'incontro,
Vieni in mia casa, io gli direi: non entro,
Perchè temo che quì, vi sia chi voglia
Farmi in oggi tremar come una foglia?
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Forse egli mi dirà: dentro la soglia Di mia casa, aver puoi serene ciglia, Che in tutti quanti gli uomini germoglia Prudenza, di virtù pregevol figlia ; Ma se avverrà che alcun la lingua scioglia Ai detti amari, ed al furor la briglia, E a me rivolto di menar minaccia, Pur converrà ch'al fin menar mi faccia.
95
Amico gli dirò : deh ! ti compiaccia Allenarmi almen dove si fà bisboccia, lo dico alla Moletta, ove si spaccia Il vin che si tracanna a goccia a goccia, Dove la gioventù con lieta faccia Gioca alla morra, a briscola ed a boccia, Spesso baruffa fra di lor vi scappa, Poichè chiave non v'è senza la mappa.

96
Quì vedrei lieto, far la prima tappa Da gente varia, che vi giunge in groppa, Altri lasciar la paia, altri la zappa, Per quì trovarsi uniti a far la zuppa L'accorto bettolier tutti l'acchiappa, Quai pesci entro le nasse gli avviluppa, E chi per ber, chi per empir la fiasca, Vuota ciascun, del suo denar la tasca.
97
Quivi all'insegna di una verde frasca, Viene la gente, e beve quando abbusca, Qualcun si vede, casca e non casca, L'altro parla e ciancotta in aria brusca; Per esprimer, lettor, quando quì nasca, Occorrente sarìa la lingua etrusca, Molti che mal pronunziano Gregorio, Veggo stimar di Luca il territorio.
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Cotesto, a cui l'effetto è ben notorio, Quando il bere soverchio sia contrario, Pria di spacciare il vin, per ajutorio, Sotto il segno, il baril, mette" di acquario, Poichè di acqua ne ha sempre un reclusorio, Essendo della mola affittuario, Se gli manca talor l'acqua al molino, Ne abbonda ognor per annacquare il vino.
99
Solo dir gli vorrei fatto vicino Ti rammenti, che un dì presso Riano, Eri tu cavallaro, ed io biscino, Che andavo sempre colle carte in mano Dopo trentasett'anni il mio destino, Ali ricondusse a riveder Volciano, Tutti gli abitator, ch'io per la gioia Non sò, per dire il ver, come non moja.

100
Se un tal col cor di quei ch'incendiar Troja, Quì si trova per caso, e forte abbaja Contro di me, che mi rendesse noja Come un giorno il pastor di Valle Caja lo cercherei smorzar l'ardente foja, Con la mia rima più perfetta e gaja, Se menarmi avverrà ch'alfin si esponga, Farò che muova il piè verso Vallonga.
101
Vasta non è la via, nè molto longa, Non è battuta assai, neppur solinga, Si costeggia la macchia, è la spelonga Quale non servirà ch'io la dipinga; Fra due colli è la villa, e pria che ponga In essa il piè l'autor della Siringa, Pensa di rintracciar Latini e Delio, Che son distinti a par di Marco Aurelio.
102
Questi due che parlar sanno di Celio, Di quando fece il Capitan Manilio, Delli scritti di Plinio e di Cornelio, Dell'amor patrio di Regolo Attilio; Dell'alto monte Ideo, di Olimpo e Pelio Di Ovidio, di strabone e di Virgilio. Potriano a me ridir con chiare frasi, Della lor patria li diversi casi.
103
Gli uomini quasi tutti, e senza quasi, Di parlare con me saran bramosi, Che varie volte quei, di amore invasi, Mi fecero racconti scandalosi ; Ed io quantunque stupito rimasi, Non poter corrispondere risposi, Mentre conosco ben, che certe cose, Sarebbe meglio di tenerle ascose.

104
Con pochi versi, o con non lunghe prose, Con altri amanti delle nove muse, Per l'oscene, che scrissi, e scandalose Rime, farò le debite mie scuse; Poichè talor, come il desìo dispose, Fra l'altre bizzarrie da me si ascluse, Quanto fece accader negli anni scorsi Cupido quì, ch'io poi n'ebbi ricorsi.
105
Chiaro farei capir coi miei discorsi, Se scorgessero mai, Nìce con Tirsi Andar nei luoghi, dove vanno gli orsi, Discorrendo fra lor, per quindi unirsi; Non si deve latrar quai cani corsi, Perchè gli amanti son da compatirsi, Ancorchè si vedesse un sotto un sopra: Zitto per carità, che non si scopra!
106
A voler detestar di Momo ogni opra, Gli esorterei con la mia rima in apra, Qual'uom dabbene, i falli altrui ricopra, E la sua bocca a mormorar non apra; A lui che in tempo la prudenza adopra, E sicuro salvar, cavoli e capra, Se con maligna idea la lingua scioglie, Gli altri per censurar, qual frutto coglie ?
107
Tante son negli alberi le foglie,
In queste nostre prossime boscaglie,
Per quante sono fra marito e moglie,
Dovunque movi il piè, cascate maglie ;
Sì l'un che l'altro sesso, amore accoglie
Nel seno, ed arde a par d'aride paglie,
Siam tutti frali, a farsi creder matti
Poco ci vuoi, badiamo ai nostri fatti
108


Qui per molto starò, che dolci tratti Hanno, non solo i giovani suddetti, Ma butteri e vergar nel tutto esatti, Il buon Pajella, e l'ottimo Carretti E quelli tali in far li versi adatti, Vorrei sentir cantar presso li tetti, Dove la notte con la mente enfatica, Lodano i pregi della lor simpatica.
109
Dove talvolta con idea lumatica Chiamano bella qualche brutta zotica, Che dalla anzianità resa antipatica, Sembra da capo a piè di forma gotica; Se persona vi capita mal pratica, Che in petto provi l'amorosa scotica, Creder gli fanno, che sia bella in guisa, Da superare Angelica e Marfisa.
110
Quest'è uno scherzo, e fa venir le risa, Mentre per vero si prende la cosa, Ma la persona che ne vien derisa, Quando giunge a scoprir la trama ascosa; Piena di sdegno, e volontà decisa, Potrebbe far la terra sanguinosa, Ed allor si dirìa, che per uno scherzo, Le capre a casa, ha riportate un terzo.
111
Sia chi fosse colà, nessuno sferzo, Che spesso far li scherzi anch'io mi sforzo. Come fà d'uopo, per tirar lo sterzo, Dar di biada ai cavalli, un altro scorzo, Così per mezzo di obolo o sesterzo, Deve dare allo spirito rinforzo, Sol per seguire gli ordini di Apollo, E tutto registrar nel protocollo.

112
Quivi restare ancor non Son satollo, Veder vorrei giacchè mi trovo al ballo, In alto appeso un casareccio pollo, Ed il giuoco eseguir sopra il cavallo; Rapido, il cavalier passando, il collo Deve forte tirar senz'intervallo, All'animale, e portar via la testa, In premio per aver quello che resta.
113
Se fra tanti, a qualcun viene la cresta, Per quel che mise la mia penna in vìsta, Di improvviso mi assale, e mi funesta L'animo con idea maligna e trista ; A me dicesse : io mò ti meno, a questa Voce risponderei : molto si acquista Da te quest'oggi, per menarmi teco, Che puoi far conto accompagnare un cieco.
114
1 dirupi, le balze ed ogni speco, Gli anti profondi, ed ogni bosco opaco, Percorrendo ne andrò, finchè mi reco A casa nuova, e là forse mi placo"; Quì del tutto farò che parli meco Aloisi, di nettare ubriaco, La di cui penna scrisse opere serie, Sulle diverse e semplici materie.
115
Nel tempo ch'era esposto all'intemperie, Solea scrivere a me lettere varie, Ben caldo il sangue avea dentro l'arterie. Nè mancavano a lui rime precarie; Or dei versi sarà fra le miserie, Divenute le muse a lui contrarie, 0 forse a scriver quattro righe o cinque, Gli par troppa fatica ora ch'è pingue.

116
Ebben la Dea fra gli altri or lo distingue, Mentre la gioventù gli ha reso, e sangue, Ma la Dea di cent'occhi e cento lingue, In celebrare i pregi suoi, non langue Ed io gli vorrei dir, fosse bilingue Sarei pur lieto; e nelle vene il sangue Aver sempre vorrei, per far notorie Le tue lodi, il tuo merto e le tue glorie.
117
Come si scrisse nelle greche istorie Di Pilade, di Oreste, e delle furie Di Agamennone, e delle sue vittorie Di Ulisse, ch'ebbe dalla sorte ingiurie; Tale il tuo nome, nelle mie memorie Scritto sarà, benchè vivo in penurie Di estro, di fantasia, per le parecchie Disgrazie, che mi rompono l'orecchie.
118
Mentre eri volto ad inseguir le pecchie,
Ed il canto accordar con le ranocchie,
Munger sovente il latte entro le secchie
Ed ai colleghi raccontar pastocchie;
S'io scriveva, per seguir l'usanze vecchie,
Com'era l'uso mio, sulle ginocchie,
Per ribattere ardito in vari modi,
Col mio martello, i tuoi pungenti chiodi.
119
Or che chieggo perdon, spero che mi odi Se mai ti offesi, e non alzar li gridi, Se menar tu mi vuoi, benchè mi annodi, Non lascerò giammai li patrii lidi ; Fra sterpi e sassi, in questi campi sodi, Movere il debol piè molto confidi, lo sono anziano, e tu più di me veglio, Non mi menar, l'asciami star ch'è meglio.

120
Se irato vuoi menarmi, io la via sceglio, Giacchè seguirmi vuoi per qualche miglio, Verso il piano non già, benchè un Azeglio Trovasse un Lucci per aver consiglio; In Leonessa di andar neppur mi sveglio, Perchè v'è da temer più d'un ortiglio, Credi, se non lo sai, fra i Lionessani, Molti vi son, che il tratto hanno dei cani.
121
Mozzorecchi, avvocati e ciarlatani, Tu sai che son d'abitazion vicini, Nel difender le cause, i bassi piani, Fanno spesso passar per monti alpini; Con le liti talor che han per le mani, Vuotano le scarselle ai contadini, Che malaccorti, conoscer non sanno, Come tessuto a lor venga l'inganno.
122
lo che conosco in parte il core chhanno,
Che viver senza trappole non ponno,
Vorrei starne lontano tutto l'annoi
E con essi giammai perdere il sonno;
Perchè forse potrei ricever danno,
Ch'io vadi dove i sensi miei non vonno,
Meglio sarà per non divenir zoppo,
Drizzi verso la patria il mio galoppo.
123
forse andar non potrò veloce troppo, Traversando la valle e il monte, zoppo, Di felce, di scopiglia, un faggio, un pioppo. Trovar potrei le radiche di un ceppo, Difficil non sarìa trovare intoppo, Passando un fosso, uno sterpajo, un greppo. Aprirò bene gli occhi, e ben che stanco Procurerò di andar, libero e franco.

124
Tu vuoi menarmi? e come il crin hai bianco Più di i?ne assai, nel camminar ti vinco, Quegli ch'è dall'età reso già manco Forse in sua casa rimaner convinco; Così ne andrò coi mio fedele al fianco, Attento di non battere lo stinco Per le felciaje e per gli aperti campi Senza temere di trovare inciampi.
125
Or più nessuno sembrerà ch'avvampi,
Per menarmi con esso il cui mi rompi,
Ho camminato assai, Dio me ne scampi
Che io più ritorni a far l'istessi zompi; Ma pria che senta il tuono e vegga i lampi Pria che il tempo si cangi e si corrompi, Senza farmi menare, in Piedelpoggio Ritorno, e mi ritiro al proprio alloggio.
126
Senza far più colle mie rime sfaggio, Compito il giro di ciascun villaggio, Trovar vorrei per mio solido appoggio, Uno pien di robustezza e di coraggio, Per farmi rimenar di poggio in poggio, Onde vedere il fin del mio viaggio; Vér la donna del Tebro, ed in quest'alma Città, spero trovar continua calma.